Progetto INFORMAFRICA


Ridurre il "digital divide" portando la nostra CONOSCENZA
in modo ETICO e RESPONSABILE, ma non i nostri "modelli di vita"

venerdì 31 dicembre 2010

Momenti...

Conclusioni

La cosa più difficile da spiegare è il perché di questo viaggio: mi si chiede cosa spero di poter “risolvere”, in termini occidentali, in un Paese tanto diverso e tanto “indietro”... Cui prodest?
Credo di dover concludere proprio con la risposta a questa domanda, perché altrimenti troppe persone rimarrebbero con l'idea di una insana follia o del desiderio di evadere dalla realtà.

Quando si va in Africa, sarebbe meglio dire quando ci si immerge in realtà tanto diverse dalla nostra, ma soprattutto in situazioni in cui manca totalmente il superfluo, che costituisce il 90% dei nostri consumi e delle nostre “pseudo-necessità”, e scarseggia fortemente il necessario vitale, che noi non sappiamo più quale realmente è, ci si trova ad affrontare la vita quotidiana dovendo abbandonare le nostre abitudini e fare un'operazione di adeguamento non da poco.

Un lungo periodo di permanenza in queste condizioni ambientali ci trasforma: già dopo un mese, a me è successo la prima volta nel Sahel, in Burkina-Faso, quando si riparte, ci si rende conto che domani si ricomincia ad avere tutto quanto serve per vivere e tutto il superfluo per sentire soddisfatte esigenze inutili. Per contro si capisce anche che la gente con cui si è condiviso il tempo, il mangiare poco, il bere diverso, la polvere, il vestito sempre uguale, e tutta la infinità di quelle che per noi sono “mancanze”, “assenze”, la gente che abbiamo incontrato rimane lì con il suo niente, magari con la speranza di rivederci e che si ritorni con qualcosa di più della nostra cultura, delle nostre idee e del nostro superfluo...
Quando il periodo di permanenza si allunga, ci si adegua, mente e corpo, e ci si rende sempre più conto della inutilità di tante cose e della quantità di superfluo che abbiamo nel nostro mondo occidentale.
E alla fine diventa difficile lasciare la semplicità della vita del villaggio, la semplicità della gente, il silenzio di strade senza motori, la bellezza dei tramonti senza luci artificiali, il calore umano dei fuochi notturni attorno a cui vivono le famiglie piene di bambini... quelli che ti chiamano “hallo! Hallo!” quando passi, per poterti stringere la mano o semplicemente toccare il braccio bianco e peloso...
Bisogna passare una notte di luna piena camminando per le strade sterrate tra le capanne, con i soli rumori degli animali notturni, e la sola luce della luna, per rendersi conto del prezzo che paghiamo alle nostre “comodità”, quelle per cui siamo disposti a prostituirci o ad accoltellare il vicino...
Ci si abitua a tutto, veramente a tutto, e nulla manca, nemmeno il rapporto affettivo e sessuale: si sa che non si può, punto. Ci sono donne e uomini bellissimi, ma sono da guardare, da conoscere per quel che sono e non per quello che ti potrebbero dare fisicamente. E' molto più semplice di quanto pensiamo: siamo molto più vicini allo spirito, quando è il vuoto che ci circonda.

Ogni volta che torno in Italia, qualcuno mi chiede se mi è venuto il “mal d'Africa”: mi è molto difficile rispondere in modo semplice, sì o no, per diversi motivi.

Se per “mal d'Africa” si intende la nostalgia dei posti, delle persone, delle esperienze, forse viene, ma, avendo girato molti posti, molte nazioni, conosciuto molti popoli anche diversi, direi che sarebbe la normalissima nostalgia di quando si lascia qualcuno o qualcosa che ha provocato in noi gioia e piacere.
Il desiderio forte di tornare per rimanere là lo provo sì, ogni volta, come il dispiacere di dover tornare in Italia lasciando i bimbi neri o i giovani che vedi crescere e maturare tra una vacca e un computer.
Ma non credo che questi sentimenti e queste sensazioni si possano definire “mal d'Africa”: mi ripeto, forse,  ma allo stesso modo ho nostalgia di Vienna e di Monaco di Baviera, dove ho passato momenti belli ed indimenticabili della vita.

Il “mal d'Africa” lo sento come il senso di colpa che chiunque dovrebbe avere pensando a ciò che abbiamo visto e per cui tanto poco abbiamo fatto. Visto positivamente diventa la nostra necessità morale di tornare e di fare qualcosa, qualcosa di più per farci perdonare le omissioni di tanti secoli di storia in cui abbiamo colonizzato e depredato regioni e popoli rendendoli sempre più poveri rispetto a noi.
  
Bisogna tornare, certo, ma non andiamo a “civilizzare”, non esportiamo il nostro modo di vivere, non portiamo, per l'amore di Dio e dei poveri che vogliamo aiutare, il nostro consumismo capitalista, e nemmeno il nostro socialismo solidale!
Dobbiamo andare in Africa, come in qualsiasi altro paese “sottosviluppato”, come li definiamo noi “superiori”, con l'umiltà di chi sa che troverà una società per certi aspetti meno sviluppata, ma soprattutto delle persone come noi, con le sue necessità primarie ancora veramente autentiche, con la sua non-cultura, che possiamo aiutare a crescere gradualmente, con le sue abitudini, che non dobbiamo estirpare mettendole in un televisore e facendole diventare materiale pubblicitario.
Gli interventi necessari più urgenti, a mio parere, sono quelli sanitari, con l'intervento soprattutto formativo della popolazione, tendente a migliorare il livello di prevenzione di certe malattie, e gli interventi culturali, con l'apertura di scuole elementari per alfabetizzare e dare i fondamenti per la prima comunicazione, orale e scritta, ma anche per dare una prima infarinatura sulla storia, le arti ed i mezzi di comunicazione.

Come diceva padre Daniele Comboni, bisogna aiutare l'Africa “attraverso l'Africa”, quindi con le sue capacità, le sue persone, le sue tradizioni, senza voler forzare cambiamenti radicali che noi abbiamo fatto in cento anni e che pensiamo di poter far fare a loro in dieci.

giovedì 30 dicembre 2010

Assisi


Assisi. Le campane di San Francesco mi svegliano dopo la prima notte di riposo “italiano”. Non sono abituato a nessun rumore, solo agli uccelli notturni e mattutini... Meno male che la Pro Civitate Christiana è in un quartiere assolutamente silenzioso! Da oggi cercherò di riprendere le attività normali, ma sicuramente avrò da raccontare, spiegare, cercare di far capire tante cose... e poi finire queste note, riordinare le foto e scegliere quelle per la “presentazione”.

martedì 28 dicembre 2010

In volo...

Sono a Juba. Ieri sera abbiamo festeggiato l'arrivo del nuovo padre Provinciale, padre Daniele, che compiva anche i suoi “primi” cinquant'anni. Fra poco andrò all'aeroporto per imbarcarmi per Addis Abeba, dove arriverò nel primo pomeriggio; nella notte imbarco per Roma, dove sarò domattina: oggi qui toccheremo i 40°, a Roma ne troverò qualcuno sotto zero... da rabbrividire anche solo al pensiero!

Il viaggio da Mapuordit a Rumbek è iniziato anch'esso all'insegna del brivido: avevamo appuntamento con padre Mark alle sei. Alle 6.20 abbiamo mandato Simon, il nostro guardiano, a vedere come mai non arrivava: dormiva all'ingrosso... Alle sei e mezzo partiamo con il timore di perdere l'aereo, ma con un pilota come lui abbiamo rapidamente recuperato ed alle otto e mezzo eravamo a Rumbek: tempo record! Qui incontriamo una suora e un sacerdote che vengono anche loro a Juba. Il vescovo, venuto a salutare padre Daniele che lascia la diocesi, mi saluta, mi chiede di tornare e mi dà la sua email dicendomi: “Per qualsiasi necessità, fatti sentire che cercherò di aiutarti!”. Una soddisfazione anche questa. Un vescovo pastore. Ce ne sono molti fuori dall'Italia...

Il volo verso Juba è in due tappe: l'aereo dell'ONU va prima a Wau, a nord, verso il confine con il Nord Sudan, e poi ritornerà a sud. La giornata come sempre è bella, ma ci sono nuvole che non consentono la visione panoramica del territorio: si intravvede solo qualche spiraglio sulla savana, qualche piccolo fiume e qualche villaggio. L'arrivo a Wau è quanto meno “poco invitante”: mentre si atterra all'inizio della pista in terra battuta, si vede il relitto di un aereo che deve aver sbagliato le misure, e, durante la frenata, se ne vedono altri due sulla destra a perenne monito: sei obbligato a ringraziare il Signore che il tuo aereo è atterrato regolarmente!
Rispetto a Rumbek questo di Wau è un aeroporto vero: c'è il bar, ci sono le toilette ed il personale che indica al velivolo dove parcheggiare, oltre ad un altoparlante che indica arrivi e partenze (due al giorno).

Anche il volo verso Juba è regolare, come l'atterraggio. All'aeroporto ci attende padre Jorge, un messicano che ce l'ha su con gli italiani e gli europei... non si parla fino alla missione.
Arrivano a Juba anche due volontari trentini che vanno verso nord, Wau o Marialoh. Nel pomeriggio riesco, con loro, ad andare a fare un giro a piedi per Juba, lungo la strada asfaltata che gira intorno al centro urbano. L'aspetto è come quello di Yaounde, in Camerun, o di Ougadougou, in Burkina Faso: lungo la strada i negozietti che vendono di tutto e di più e qualche bar dove si può trovare una bibita quasi fresca; qui però ci sono diversi stranieri che commerciano, dagli indonesiani ai cinesi. Per il resto, quando si attraversano le strade laterali, ci si rende conto che la miseria è anche qui: niente asfalto, tanta polvere, tanto sporco, i bambini che giocano nudi per strada, le persone che camminano senza scarpe o con gli infradito cinesi...

domenica 26 dicembre 2010

E’ forse ora che faccia anche io le valigie…

L’ultima settimana a Mapuordit è trascorsa tra la fine del secondo corso a Pan Amat, con gli esami e, di conseguenza, contenti e scontenti, con i primi saluti, le partenze degli ultimi volontari stranieri, gli operai ugandesi e kenyoti che stanno lavorando all’ospedale ed alla scuola primaria, e di tutti quelli che lavorano e vivono a Mapuordit che sono andati a trascorrere le vacanze nei villaggi di origine.
Ci sono zone del villaggio che hanno assunto un aspetto tra lo spettrale e il senso dell’attesa di una stagione migliore: i cortili sono stati ripuliti che sembrano finti, non ci sono più i bimbi che urlano “hallo! hallo!”, non ci sono più le donne e le ragazze che pestano il mais, non ci sono più gli uomini seduti a chiacchierare sotto gli alberi.
E’ forse ora che faccia anche io le valigie…


La sera a cena si parla, come sempre, di tante cose; stasera si torna sulla visita di un commercialista pavese che sta scrivendo una “storia del Sudan”: era ad Yirol per il Convegno giovanile ed il lunedì mattina lo hanno chiamato all'ospedale del CUAMM per una donazione di sangue. Ricordo di essere donatore di sangue anche io e lo dico: “Allora domattina alle 8 vieni a donare all'ospedale!” è la reazione immediata, indiscutibile, perentoria di fratel Rosario, che poi, quasi a giustificarsi di una richiesta tanto normale e giusta, aggiunge: “Ne abbiamo sempre bisogno!”.

Così al mattino alle 8 mi presento a fratel Andres per il prelievo: passa una mano sul lettino per spolverarlo un po', mi fa sdraiare, trova un ago di quelli belli grossi di una volta e mi “succhia” una sacca di circa mezzo litro. Quando gli chiedo, quasi sottovoce, “ma gli esami quando li fai?”, risponde sicuro e tranquillo: ora tu puoi andare e noi facciamo gli esami!...

Mi faccio accompagnare a Pan Amat perché non so se da solo ci arrivo. A chiusura del corso voglio proiettare un film sulla “Redenzione”, fatto di sole immagini artistiche che stupiscono non poco il folto pubblico di bambini e uomini che si accalcano dietro di me… Alla fine James mi regala una pipa di Agany, come ricordo dell’esperienza di questi tre mesi! E’ l’unico oggetto artigianale, oltre alle collanine dei pastori dinka, che si può trovare in zona. Ricordo veramente gradito. Contraccambio pagando il cemento per le pareti della “scuoletta”.

La sera  arriva il vescovo e celebra la messa della Natività alla luce di quattro lampade accese grazie al rumorosissimo generatore a benzina; unito alle voci mai dome dei bimbi che partecipano alla celebrazione fino a quando non crollano addormentati a terra, il rumore copre totalmente la voce del vescovo, dei lettori e del parroco, per cui tutto avviene in modo quasi surreale. Prima della messa il vescovo si isola per confessare ed è veramente commovente vedere quanti giovani e adulti si portano a lui con le loro pene ed il loro pentimento.

Il giorno di Natale è di riposo, di incontro, di preghiera attiva, ma per me è anche momento di riflessione e preparativi. La mattina è però impegnata nella messa del vescovo che annuncia ufficialmente la partenza di padre Daniele per Juba, dove prende l’incarico di Provinciale per il Sud Sudan dei Missionari Comboniani. Momenti di commozione e di riconoscimento per quanto questo missionario è riuscito a fare in poco più di un anno in questo villaggio; dalle attività per i giovani alla promozione umana delle donne, dallo sport alla sensibilizzazione verso il Referendum e la trasformazione del Sud Sudan in nazione indipendente.
Il pomeriggio lo passo a scrivere, a preparare le valigie, a passeggiare ancora una volta per il villaggio. Mi piace rivedere i volti noti degli anziani, dei pochi commercianti, le bancarelle semivuote, ed anche sentire l’acre odore d’Africa.

Oggi, domenica, ultimo giorno, ci sarà anche la festa dell’Ospedale con la “cena del villaggio”, i discorsi dei “leader”, le danze dei giovani e qualche lacrima prima della partenza, al momento dei saluti. Tanta gioia nel vedere l’apprezzamento per quanto fatto, tanta speranza di poter tornare a continuare questa collaborazione, un po’ di tristezza per ciò che si lascia, e tanto timore per un ritorno ad una civiltà tanto più progredita quanto poco umana. Il solo pensiero delle “luminarie natalizie”, delle luci di un centro commerciale, del frastuono di strade e industrie, mi sconvolge non poco.

lunedì 20 dicembre 2010

Sono seduto su un tubo di ferro... non ho più l’età per certe cose!

Questo week-end è stato veramente impegnativo: il Convegno Giovanile Diocesano ad Yirol ha comportato non poca fatica e lavoro, per tutti.
Ho avuto la “consegna” da padre Daniele di portare da Mapuordit ad Yirol una trentina di ragazzi e ragazze, con un camion che doveva essere pronto dopo la messa, circa alle 8.30.
La disposizione è di non caricare nessuno oltre agli iscritti che hanno pagato.
Alle 10 il camion ancora non si vede: i ragazzi che hanno pagato sono assolutamente tranquilli, una decina di abusivi, che non ha pagato e non vuole pagare, comincia a lamentarsi su quando arriverà il camion, se è vero e soprattutto perché non vengono date risposte, e perché non viene data la colazione!

Verso le dieci e mezza, finalmente, si parte: ho delegato a mantenere l’ordine un ragazzo nero, facendogli anche un bel discorso: d’ora in poi i ragazzi dipendono da te, perché tu sei dei loro e parli la loro lingua. Sei tu il responsabile per loro, per quelli in più che non hanno pagato e per quanto succede!
Io rimango in cabina, davanti siamo in quattro e nella parte dietro ce ne sono altri due; nel cassone, alla fine, oltre quaranta. Sono seduto su un tubo di ferro, battendo la spalla contro la portiera, dovendo stare attento alle buche per evitare qualche botta più dura…
Arrivo con lividi pesanti sul sedere e sulla spalla, oltre ad essere completamente massacrato: non ho più l’età per certe cose…
 
Il Convegno si svolge nella gioia e nella serenità: sono presenti quasi tutti i parroci della Diocesi, o gli assistenti giovanili, comboniani e diocesani, il vescovo mons. Mazzolari e per la serata del sabato e la Messa della domenica c’è anche il Nunzio Apostolico, arrivato appositamente da Khartoum. Durante una chiacchierata “a ruota libera” garantisce, tra molta diffidenza, che il Referendum andrà in porto senza problemi e senza incidenti: quasi tutti pensano che si tratti di una mera speranza fideistica, ma il tono della sua voce è sicuro e pare assolutamente certo di quanto afferma. Speriamo in bene!
Poi spara a zero sulle autorità governative di Khartoum, che nei cinque anni di pace dalla fine della guerra civile ad ora, non hanno fatto assolutamente nulla per il Sud, e che sono corrotte fino all’osso! Sembra quasi un discorso di un “diplomatico a fine mandato”, che può finalmente togliersi tutti i sassi dalle scarpe.

L’unico discorso che fa sorridere i giovani, e a dire il vero anche i missionari e gli altri preti, è quello sui matrimoni in chiesa, che il Nunzio auspica caldamente, come nuove vocazioni religiose: i giovani sono poligami e non pensano assolutamente a sposarsi in chiesa, se non altro per non essere ipocriti fino in fondo!
 
Lo svolgimento del Convegno è articolato tra incontri, testimonianze di missionari e sacerdoti, incontri sportivi tra le parrocchie, relazioni dei leader delle singole parrocchie sulle attività pastorali svolte e sulle speranze futuribili. La sera gara-spettacolo tra i gruppi parrocchiali: danza e musica etnica e moderna.
Veramente rilevante l’attenzione di tutti i gruppi e la partecipazione attenta ed attiva di tutti questi giovani, oltre 500, venuti anche da molto lontano: la diocesi si estende quasi dal confine con il Sudan del Nord, all’estremo est ed a sud con la diocesi di Juba.

I discorsi sul Referendum e sulla secessione, ormai vicinissimi, la fanno da padrone: se ne parla con gioia e con serietà, con impegno e desiderio di uscire da una situazione ormai insostenibile di dipendenza da qualcuno che non considera assolutamente il Sud come una nazione o un popolo facenti parte di un’unica nazione. Inutile dire che le notizie che vengono dall’Italia, sulle vicende personali dei nostri governanti, fanno ancora più male: viene l’idea che la gente di qui, ancorché senza cultura e senza storia, sia molto più seria e pulita dentro.

La domenica pomeriggio, ancora mezzo acciaccato dal viaggio di venerdì, decido di tornare a Mapuordit approfittando di un passaggio di padre Mark, degli Apostoli di Gesù; così avrò un giorno intero per riposare e riorganizzarmi anche mentalmente l’ultima settimana di lavoro.
Si parte al tramonto, con la prospettiva di non cuocere al sole, ma anche di prendere qualche buca in più: padre Mark corre molto, ma conosce anche tutte le strade e i sentieri più impensati della regione. Riusciamo ad arrivare a Mapuordit, traversando la savana per parecchi chilometri, in meno di due ore! Gli altri, per la strada normale, attraverso Agany ed Aluakluak ci mettono almeno tre ore…
Lo spettacolo notturno della savana è notevole: uccelli ed animali notturni, qua e là, e poi si attraversa qualche piccolo villaggio con i fuochi accesi per cucinare il mais bianco o il riso o raccontare le favole ai bimbi per farli dormire.

giovedì 16 dicembre 2010

Comincio a pensare di comprarmi un tucul...

Oggi, finalmente, riunione con Fratel Rosario, nuovo superiore della Comunità Comboniana e direttore sanitario dell’ospedale: dobbiamo valutare la possibilità del mio ritorno a Mapuordit il prossimo anno, Referendum e “secessione” permettendo.
Alla fine sono tutti contenti della mia idea di tornare: l’unico problema, non da poco, è quello dell’alloggio, per i comboniani devono costruire qualche camera, ma verrà pronta a fine del prossimo anno, e le altre sono delle suore australiane. Visto però che devo venire per la scuola, devo contattare suor Philippa, appena partita per l’Australia, che dobrevve prendermi “in carico”; per il vitto ci penserà l’ospedale, a fronte della disponibilità a risolvere i loro problemi.
Comincio a pensare di comprarmi un tucul, o farlo costruire nuovo: il problema più grande sarà quello dell’acqua. Bisognerà costruire un “tank”, come chiamano qui il serbatoio, e portare l’acqua a mano; con una piccola pompa si manda nel serbatoio e si può utilizzare anche per la doccia… Il servizio igienico sarà come ai vecchi tempi nostri ed a quelli attuali di qui: pozzo biologico ad accesso diretto, senza sifoni e marchingegni vari! Un filtro per l’acqua la renderà potabile. Ultimo, ma non meno importante per una vita sufficientemente “europea”, un pannello solare a batteria, per produrre quel minimo di corrente elettrica per far funzionare un computer e due lampadine. Pare che il costo di tutto questo possa rientrare nei 5-6 mila euro!

I ragazzi di Pan Amat mi dicono però che sarebbe bene che mi procurassi una moglie, per tenere pulita la casa, andare a prendere l’acqua, far da mangiare e magari darmi ancora qualche figlio… ma io non ho le vacche, e nemmeno i soldi, e sono già sposato! Mi sa che dovrò cambiare progetti!

Il fatto è che loro, i “dinka”, ancorché cattolici o cristiani, sono innanzi tutto poligami, ed in secondo luogo la donna vale solo in quanto può produrre figli, ma soprattutto figlie, che, quando arrivano alla maturità fisica possono essere “vendute” per venti, trenta, cinquanta vacche del valore in media di settecento dollari l’una.
John, un giovane maestro, ha avuto, dicono i fratelli di lei, ma gli interessati negano, un rapporto con una ragazza di quindici anni: la ragazza è stata allontanata e lui licenziato dalla scuola, e ha dovuto pagare una bella somma alla famiglia di lei.
Noi stiamo a discutere sul “burqua-sì” o “burqua-no”… impicciandoci di usi, costumi e tradizioni per noi inconcepibili, ma per gli interessati assai importanti!

lunedì 13 dicembre 2010

I fuochi accesi vicino ai tucul, nessuna luce… un’altra dimensione

In questo fine settimana se ne sono andate le suore, la dottoressa Paola, che era qui da due anni e tanti altri. Feste, cene e lacrime a ripetizione. In questi posti di frontiera nascono amicizie molto simili a quelle estive, del mare o della montagna: ci si conosce, ci si frequenta, siamo sempre assolutamente solidali, ci si promette di frequentarsi anche dopo, in Europa, ma poi la nostra civiltà ci fa perdere le tracce uno dell’altro, travolti dalle pseudonecessità del correre quotidiano dietro al benessere.
Giovedì scorso ho avuto il colloquio conclusivo con suor Philippa, la direttrice delle scuole: a parte tutti i complimenti e ringraziamenti possibili, da parte sua e degli insegnanti che ho seguito, mi chiede di tornare per l’anno scolastico prossimo, da aprile a fine ottobre, per tenere corsi regolari: un secondo livello agli insegnanti della scuola superiore ed un primo livello a quelli della primaria. Non speravo tanto, anche se in cuor mio, penso di aver dato quanto potevo!

Anche a Pan Amat, la “scuoletta di periferia”, mi chiedono di tornare e stanno già lavorando per prepararmi un’aula di informatica in cui si possa anche proiettare, invece di andare nella capanna-scuola, frequentata abitualmente anche da asini, capre e pecore. Qui avrò bisogno dei personal computer portatili, perché consumano molto meno, e di un generatore un po’ più potente e magari a pannelli solari, con batteria, per risparmiare poi sulle spese di carburante e sul rumore infernale che accompagna ogni lezione.

Rifletto un momento su questo punto: portiamo dall’Europa, spesso e volentieri, cose veramente assurde, a pensarci bene. Ecco, il generatore. Ovvio, qui manca la corrente elettrica e regaliamo un generatore che consuma un litro di miscela ogni ora di accensione per 650W. Non pensiamo assolutamente che qui il carburante non c’è! Non ci sono le automobili e solo poche motociclette: il carburante si può comprare sì, ma a prezzi folli nelle bottigliette da mezzo litro della cocacola o della “soda”, ma in genere si va a Rumbek, ad 80 chilometri, con le taniche da 50 litri e costa poco più di un euro al litro, che per questa gente, per questi posti, è una cifra esorbitante.

Ma il bello è proprio la mancanza della corrente elettrica; una piccola torcia a dinamo, con ricarica manuale tipo macinino del caffè, consente di vagare nella notte per la savana: i fuochi accesi vicino ai tucul, nessuna luce e tanti animali… un’altra dimensione, umana, personale, intima.

domenica 12 dicembre 2010

STRUMENTAZIONE NECESSARIA A MAPUORDIT


Computer
·   PAN AMAT                           n.     6      notebook completi di Windows e Office (ENG)
·   Centro Pastorale                      n.     8      pc (possibilmente notebook)

Stampanti ed altre periferiche
·   Padri Comboniani                    n.     1      stampante laser
·   PAN AMAT                           n.     1      hub per rete locale (8 porte)
·   Centro Pastorale                      n.     1      stampante laser (in rete)
                                             n.     1      proiettore per pc
                                             n.     1      hub per rete locale (8 porte)

Memorie RAM
·   Apostoli di Gesù                      n.     1      notebook Toshiba Satellite S1800-654S (128)
                                             n.     1      notebook Toshiba Satellite 2250CDT (64)
·   PAN AMAT                           n.     1      RAM 1GB per desktop
                                             n.     1      RAM per notebook Acer (TM210-20010612-
                                                   s/n 9140R0120I12401E2ET)

Software
   ·TUTTI                                           Office in inglese per tutti (OpenOffice)
·   PAN AMAT                           n.     8-10 Licenze scuola di Windows XP (già registrate)
·   Centro Pastorale                      n.     8      Licenze scuola di Windows XP (già registrate)

Spare parts
·   Cavi                                        n.     20    cavi per rete locale (3-5-10m. – UTP6)
                                                   n.       3      cavi per monitor (per proiettori)
                                                   n.       1      grimpatrice per cavi rete
·   Screen                                    n.       1      per HP 560
·   Hard-disk                               n.       1      per notebook (minimo)
·   CD-ROM                               n.   500  con custodia per duplicazione software libero

Materiale elettrico
·   Vario                                      n.     20    ciabatte elettriche per alimentazione
                                                   n.     2      generatori da 1kw (magari solari!)
                                                   n.     2      batterie solari da 1kw

Cartucce per stampanti (b/n e colore)
            Laser                        
Apostoli           HP1018    / 
PanAmat 
            InkJet   
Apostoli            HP3650    /      HP840
Comboni          HP2250    /              

 N. 1 fascicolatrice ad anelli...


giovedì 9 dicembre 2010

Il Natale… arriva anche senza luminarie…

L’inizio della settimana è passato molto tranquillo, nella normalità dei lavori, della scuola, della mancanza assoluta di festeggiamenti per s. Ambrogio o per l’Immacolata, nella mancanza di vetrine illuminate, anzi nella mancanza di vetrine, di luminarie natalizie che fanno pensare a noi poveri occidentali opulenti che il Natale sia l’arrivo del regalo, della festa, della settimana bianca…
Qui ci si copre con un pezzo di stoffa la sera, quando il termometro scende sotto i 20°, e i neri hanno freddo, e di giorno si sopporta il caldo asciutto con sempre un po’ di vento che viene da nord, caldissimo, ma che rende sopportabili gli oltre 35° all’ombra ed i circa 50° al sole… Il Natale… arriva anche senza luminarie… ed è Natale perché il villaggio si svuota: tutti gli studenti “esterni” tornano ai loro villaggi di origine fino alla fine di marzo, i volontari stranieri se ne partono per evitare di essere qui nei momenti difficili del Referendum, rimangono solo pochi: un giovane medico italiano, una assistente franco-americana, una suora australiana ed una amministratrice australiana dell’ospedale.
Chi non “scappa” sono i missionari comboniani, e mi dispiace pensare che padre Daniele mi ha fatto venire con l’impegno di andarmene anche io entro la fine dell’anno… Mi sembra di scappare anche io!

domenica 5 dicembre 2010

Senza limiti di proprietà... il loro sorriso ed il loro “welcome”

Approfitto di una giornata senza impegni scolastici, tra le ultime lezioni di ieri e gli esami di domani in periferia, per aggregarmi a due personaggi che vengono accompagnati ad Yirol dall’autista dell’ospedale.
So che la strada è in pessime condizioni, ma ormai non piove in modo consistente da molti giorni, per cui il viaggio, ancorché caldissimo, si preannuncia interessante.
Yirol è una cittadina poco più grande di Mapuordit, ma molto più concentrata intorno al mercato ed all’ospedale, gestito dal Cuamm, associazione di medici italiani. C’è anche una grande comunità comboniana, con una chiesa nuova, spagnoleggiante, ma molto africana; il progetto è dello spagnolo padre Parladè, che ne è tuttora il parroco.
I due personaggi con cui faccio l’andata sono un comboniano ed una ex-suora comboninana che continua ad occuparsi di Sudan da Bolzano: lui è una valanga di parole, sempre molto concrete, anche discutibili nella forma e nella sostanza, lei lo sostituisce quando lui smette un momento… Al di là delle “illazioni” sono due persone veramente interessanti e importanti, visto che riescono a finanziare moltissime attività dell’ospedale ed anche qualcuna della comunità!

Ma oggi quello che conta è ciò che vedo lungo la strada! E’ come trovarsi in un parco naturale all’aperto, senza restrizioni, senza confini, senza limiti di proprietà (le reti metalliche di difesa le usano solo le missioni e le scuole, ossia gli occidentali).
In giro la campagna è infinita, interrotta solo da scarsi alberi, sempre molto grandi; grandi estensioni di sorgo, di mais bianco, e palude in cui vivono centinaia di trampolieri ed uccelli vari, grandi come le aquile, gli avvoltoi e i pellicani o piccoli come passerotti, ma coloratissimi… in qualche stagno una bella varietà di ninfee, in giro qualche famiglia di scimmiette, per strada un cadavere di iguana lungo oltre quasi due metri, e più in là il cadavere fresco di un vitellino poco più che neonato evidentemente morto di malattia…
Il sole è fortissimo, ma non c’è umidità, per cui si sopporta benissimo, molto meglio delle buche che sono veramente tantissime, e disposte che non si può evitare di traversarne quasi la metà… si tratta solo di decidere quale metà, se a sinistra o a destra…
L’altro aspetto stagionale del viaggio sono le molte mandrie di bovini che incrociamo o superiamo, che si stanno spostando dai “cattle camp” a zone meno aride. E i pastori che vedono la macchina fotografica vorrebbero essere fotografati, magari per farsi pagare qualcosa la foto…
Al mercato di Yirol compro i biscotti per i bambini di Pan Amat e per le mie merende del mattino, quando mi vengono le crisi di calo degli zuccheri: una trattativa di mezz’ora in due negozi per comprarne uno scatolone da 120 confezioni al prezzo di 12 euro…
Al ritorno sonnecchio grazie alla guida premurosa di Madit, arabo sudanese, famoso per come corre in auto e come le scassa durante la stagione delle piogge: non ci credo!


Ieri finisce ufficialmente il corso nella “scuoletta di periferia”, con gli esami sull’hardware e su Word. Impegno tremendo per tutti. Per un giorno puntuali, attentissimi, spaventati quasi dalla prova, forse ancor più degli insegnanti della scuola secondaria.
Finisce anche qui con quattro promossi e due consigliati di riprendere il prossimo anno, se ci sarò e se ci sarà il corso, dal primo livello, per migliorarsi senza fretta.
Anche qui valgono le considerazioni della scuola: purtroppo nessuno ha un computer e quindi nessuno può esercitarsi… Vedremo di provvedere, con l’aiuto di Dio e degli amici che vorranno aiutarci.
Durante gli esami sono anche venuti i giovani ad iscriversi al prossimo corso: sei ore alla settimana, per quattro settimane, al costo di 7 euro totali per conoscere un po’ di hardware e imparare ad usare Word. Ci sono ben nove iscritti!
Alla fine “soda” (ossia bibite in bottigliette di plastica da mezzo litro) per tutti, offerta dal “professor”. Contentissimi.
Dopo che sono andati via tutti, James, il responsabile del “quartiere”, mi invita nella sua capanna, anzi fuori, a mangiare il pesce fresco che al mattino è andato a prendere al fiume. Il solito rito: lavaggio delle mani con un po’ d’acqua, pentolino da cui prendere il pesce con il sugo, un piatto su cui appoggiarlo per mangiarlo un po’ per volta e alla fine lavaggio delle mani con anche il sapone!
Il pesce è squisito, il sugo pure, la moglie di James e le altre donne sono tutte prese per questo servizio di ospitalità degno di un principe… Cosa vuol dire il loro sorriso ed il loro “welcome”!

lunedì 29 novembre 2010

Legni incrociati e fango

Oggi avrebbe dovuto essere una giornata “normale”… Stamattina, mentre facevo un break durante la scrittura di queste “note” è arrivato James Laat Abut, il responsabile della “scuola di periferia”: nel suo circondario, quello dei lebbrosi, è morta una donna e devono fare il funerale; il corpo è ancora all’ospedale dove l’hanno portata all’ultimo istante. Gli chiedo di andare con lui a casa della defunta.
Assisto così alla preparazione della tomba, in un angolo del cortile; un paio di metri in lunghezza, un metro in larghezza e quasi due metri di profondità. La terra che si calpesta è grigia, quasi ardesia, ma scavando diventa sempre più rossa: è come creta, soda, ma friabilissima. Quando è ormai l’una ed il sole è quasi al vertice finiscono lo scavo e la finitura ed un parente e James vanno a prendere il corpo all’ospedale: tornano mezz’ora dopo con padre Antoine, il corpo della donna morta e un paio di infermieri. Si passa il cadavere, avvolto in una coperta, direttamente dal cassone del pick-up alla fossa.
Il rito funebre, la benedizione, il primo pugno di terra gettato dal sacerdote. Poi gli uomini mettono uno strato di legni incrociati e del fango per fare la “cassa”; sopra la terra asciutta. Tornerò domani a dare un saluto ai parenti e a vedere la tomba finita.

Da domenica continua, tutti i pomeriggi, l’incontro di “ayaang” tra le varie tribù: pare che si tratti di una vecchia usanza dei pastori. Alla fine della stagione delle piogge, quando i pascoli si seccano e vengono bruciati, sono costretti alla transumanza e festeggiano il periodo dell’ingrasso passato nei “cattle camp” della zona con questi giorni di sport e danze.

sabato 27 novembre 2010

Ayaang

Questa domenica padre Daniele ha organizzato un incontro di “Ayaang” (quello che in occidente si chiama “wrestling”). Pare che questa disciplina marziale sia nata da queste parti, ed ancora si pratica fra i vari gruppi tribali. E’ in pratica, una specie di lotta greco-romana, contornata di danze e costumi proprio del luogo, in cui la “paura” che si fa all’avversario è di grande importanza: di qui i trucchi spaventosi, i costumi che riprendono i colori delle pelli degli animali feroci, le lance. Ma la lotta vera e propria deve essere perfettamente leale, e gli arbitri sono i capi anziani delle tribù, con tanto di frustino di erbe per punire i propri contendenti sleali (e quelli che perdono!).
I due gruppi si schierano su fronti contrapposti di un grande piazzale: al centro gli arbitri e almeno qualche soldato e poliziotto armati (semmai si passasse alla lotta vera e propria!); poi uno per parte si scontrano in combattimenti assai veloci della durata di pochi minuti: chi vince viene esaltato dalla sua parte, chi perde viene, ovviamente, ignorato.
Dopo una decina di combattimenti le squadre decidono che sia finita ed i gruppi si uniscono in uno spettacolo di danze al rullo dei tamburi. Festa di musica, di colori e di polvere.

In mattinata i padri “Apostoli di Gesù” mi avevano invitato ad andare a fare un giro in auto fino a Mvolo, un villaggio all’incrocio di due strade, su un fiume. All’andata abbiamo passato il vicino villaggio di Aguran, completamente invisibile dalla strada, salvo il mercato: è completamente immerso nella savana ed il sorgo, il bambù ed il mais lo nascondono a qualsiasi vista; l’unico motivo per pensare ad un villaggio vicino, sono le donne e i ragazzini che si vedono lungo la strada portare sulla testa le loro mercanzie di ogni genere. A Mvolo ci sono ben due antenne di ripetitori telefonici, così si potrebbe anche telefonare… Il fiume è molto sporco di terra e sabbia, ma i ragazzi ci fanno il bagno nudi; un camion si è rovesciato qualche tempo fa dal ponte e nessuno lo ha ancora recuperato; il ponte di ferro, danneggiato, è senza spallette di alcun genere.
Ci fermiamo a fare qualche foto sul fiume; tiriamo fuori dai guai uno sprovveduto che si è messo a lavare il suo “landcruiser” in riva al fiume, ma non gli parte più, a rischio di finirci dentro. Alla fine ci sediamo ad un bar per bere una “soda”, come chiamano qui le bevande gasate. La scelta qui, come a Rumbek, è tra Pepsi, CocaCola, SevenUp, Mango e acqua. Incontriamo anche un prete diocesano che si sta occupando delle registrazioni per il Referendum. Qui siamo nella provincia dell’Ovest.
Al ritorno padre Mark decide di farci passare attraverso la savana, su una pista che arriva direttamente a Mapuordit: è veramente bello il paesaggio, anche se semidesertico. Ci sono grandi pezzi di terreno pieni di “case” delle termiti, che qui imperversano.

Veramente una mattinata interessante!

giovedì 25 novembre 2010

La “promozione"

Dopo una settimana impegnata nella normalità della routine (la scuola di periferia, il corso agli insegnanti che sta volgendo al termine), la passeggiata quotidiana in cerca di qualche foto interessante, siamo arrivati, almeno alla scuola secondaria, al momento dell’esame finale agli insegnanti.

Come per tutti gli allievi del mondo, anche per loro è stato un “momento difficile”! Nonostante la preparazione e gli esercizi fatti fare, la paura ha fatto 90… e sulla parte relativa all’hardware, la memoria è crollata al livello dello zero assoluto. Ma tutto sommato penso che sia giusto così: la difficoltà di insegnare in un inglese diverso dal loro, e quindi per loro molte cose non erano chiare; il gergo informatico assolutamente nuovo per chi non ha mai avuto un pc fra le mani; l’abitudine ad insegnare e non più ad imparare; tutte motivazioni che hanno reso il corso un po’ più difficile del dovuto. Devo dire che però ho avuto una doppia soddisfazione: la prima di aver portato quasi tutti ad un buon livello di interesse e di utilizzo almeno di Word e ad una conoscenza ed un interesse particolari verso il “foglio elettronico” (Excel); ma soprattutto la “promozione” che mi hanno dato con la loro votazione gli allievi… quasi a pieni voti!

Questa motivazione mi spinge a continuare questa esperienza, magari ripetendola in modo più organizzato il prossimo anno.
La cosa che più è difficile qui, per chi vuole andare avanti e ne avrebbe le capacità, è di non avere gli strumenti necessari per esercitarsi: occorrerebbe (ed è nei progetti di padre Daniele) un “centro informatico” in cui si fa scuola, ma si fa anche esercitazione pratica, oltre le ore di lezione. Al momento mancano ancora anche i muri. Io cercherò di trovare una decina di pc per poter attivare una “classe” completa, come nella scuola secondaria.

domenica 21 novembre 2010

Vogliamo che tu rimanga!

Ho preso l’abitudine, dopo la scuola, di andare a fare un giro in “centro”, dove c’è il mercato, l’albero della polizia, quello degli anziani, quello delle commercianti, il container-prigione, il “referendum center”… Mi piace vedere la gente in giro, salutare gli anziani e i bambini che mi chiedono: “Hallo!... Tura… Ciao! Mi fai una foto?” e le ragazzine, assai intraprendenti anche da poco più che bimbe, che lanciano “occhiate assassine”… e ti fanno abbassare gli occhi per non sentirti pedofilo…

Tutta questa aria mi fa anche meditare molto, sia durante il vagabondare, sia durante i momenti di preghiera e di silenzio, durante la giornata ed alla sera. Questa relativa lentezza dei tempi, perché in realtà le giornate sono piene, rende la mente più fertile, aiuta a mettere a fuoco tanti aspetti che nei ritmi del mondo occidentale non si riesce più nemmeno a pensare che ci siano.
Forse sto proprio cercando di smaltire il mondo occidentale e di dimenticarlo. Ovvio che spesso si fanno raffronti, ma qui sono praticamente inutili: come chiedere la differenza tra un brano musicale ed un quadro, o tra una automobile ed un televisore...

La differenza tra il mondo occidentale e questo NON C'E'! Sono due mondi completamente diversi...
Ieri pomeriggio, dopo internet, sono andato a fare due passi verso il centro: sotto un albero c'era la "riunione degli anziani" che ho salutato e mi hanno accolto calorosamente (sarà per la mia età, pochi capelli e barba bianca?); erano a fianco al gazebo governativo per la registrazione per il Referendum: mi hanno chiesto se mi registravo anche io... ho detto che fra 3 anni, se rimango, potrei chiedere la cittadinanza e registrarmi... la risposta è stata, praticamente, “Vogliamo che tu rimanga! TI ASPETTIAMO!!!”
La stessa scena, quasi con le stesse parole si è ripetuta qualche minuto dopo da parte di ragazzi e docenti che erano lì intorno e che ormai conosco bene...

mercoledì 17 novembre 2010

Bisogna essere contenti di ciò che si ha

Ieri era la festa di s. Elisabetta, regina d’Ungheria, a me molto cara per diversi motivi: prima di tutto era il nome di mia mamma, di mia nonna e della bisnonna ungherese, ed anche il secondo nome di mia figlia; poi è la patrona dell’Ordine Francescano Secolare, a cui indegnamente appartengo da diciannove anni, proprio in questo giorno.
Essendoci la “messa comunitaria” abbiamo potuto ricordare tutte queste coincidenze ed il compleanno di Francesco. Una buona occasione per stare in comunione!

Dopo oltre un mese posso fare qualche considerazione sul mangiare: bisogna essere contenti di ciò che si ha e non domandarsi nulla... se qualcosa non si riesce a mangiarla, se ne mangia un’altra: la scelta tra due o tre piatti c’è sempre... sempre quelli...
Ma pane olio e sale, o riso lesso con l’olio, o una qualità di pasta con qualche altro sugo o un pezzo di carne misteriosa o un pezzo pane... c’è sempre tutto! Magari c’è sempre il riso lesso, la polenta di mais bianco, le tagliatelle lesse frantumate, gli spaghetti tagliati, un brodo, un sugo di tonno, piselli e wurstel, i fagioli borlotti... ma perché bisogna variare? Che male c’è a mangiare sempre le stesse cose? Io sto dimagrendo senza fatica! Non è mica quello il problema... e magari, invece del dessert, la papaya, unico frutto fresco, o la macedonia in scatola o l’ananas in scatola...
Purtroppo in situazioni come questa, di economia totale (nel senso della necessità di ridurre i costi a zero o quasi), si fanno anche alcuni errori di valutazione. Per esempio si acquistano quantità grosse di viveri per risparmiare sul prezzo, ma poi, con il caldo, le derrate deperiscono e ogni tanto si deve buttare via qualche scatolone intero di pasta o di altro perché non più commestibile; per fortuna abbiamo molte galline e qualche papera che mangiano quasi tutto… la gatta di Rosario invece è schizzinosa come non si potrebbe immaginare! Peggio per lei che mangia poco, e quello che non mangia lei lo divorano le galline… 

sabato 13 novembre 2010

Gli alberi di Mapuordit

Qualche giorno fa è rientrato dalle sue ferie fratel Rosario Iannetti, medico e direttore sanitario dell’ospedale. Con lui sono arrivati anche due suoi amici, padre e figlio, napoletani anche loro, per fare un po’ di esperienza africana: Antonio, il padre fa parte di un Gruppo Missionario da molti anni e quindi ha deciso, nonostante qualche problema di salute, di mettersi alla prova. Lo accompagna il figlio, che darà una mano a fratel Rosario, sistemando il magazzino dei farmaceutici ed altre incombenze.
Sono napoletani veramente simpatici, anche se le loro idee sui problemi ecologici, igienico-sanitari e certe le loro osservazioni ci fanno sorridere molto... qui non si va molto per il sottile: l’acqua viene filtrata e messa in bottiglie che si lavano ogni due o tre mesi... il frigorifero si spegne la sera e si riaccende al mattino, se non ci si dimentica... la pasta potrebbe essere scaduta da qualche mese, ma se non ci sono i tarli... e loro hanno portato i coperchietti di tela da mettere sul pane e su qualche avanzo perché non ci vadano le mosche, peraltro qui rarissime!
Meno male che hanno portato anche qualche porzione di salame piccante, di bresaola, di grana, di funghi secchi...!

Francesco, il figlio, dottore in scienza dell’alimentazione, è preoccupato non solo per l’acqua, ma soprattutto per il fatto che qui si bruciano tutti i rifiuti all’aria aperta, se va bene in grandi buche, altrimenti in mucchi nel prati... siccome ci vanno dentro anche qualche bottiglietta di plastica e altri materiali che, bruciati, non producono propriamente aria sana, lui sente l’odore della diossina... ma se qui vivono duemila persona in un raggio di un chilometro ed è tutto pieno di alberi e arbusti, e non circolano mezzi a motore, e non ci sono fabbriche di alcun tipo (a parte quella dei bambini e delle vacche, che però sono sanissime) come fa ad esserci inquinamento???
Ultimo problema del giovane è suo padre: per evitare i bicchieri si è comprato una bottiglietta di acqua minerale e beve con quella l’acqua filtrata... ma non lo sa, Antonio, che dopo un po’ la plastica rilascia delle sostanze nocive???

Non ho detto questo per parlare male di due amici veramente ottimi, servizievoli e disponibili ad aiutare tutti in qualsiasi momento, ma solo per far capire al nostro mondo occidentale alcuni degli errori di fondo che abbiamo commesso e continuiamo a commettere!
Ci fasciamo la testa per cose assurde! La plastica delle bottigliette rilascerà sicuramente qualche sostanza nociva, ma dopo quanto tempo di uso, contenendo quali prodotti? Non saranno le schifezze della coca-cola che corrodono la plastica al punto di rilasciare sostanze che il buon Dio, a ragion veduta e conoscendo la chimica meglio di tanti premi Nobel, nell’acqua non si è sognato di mettere?

Non sarà che gli alberi di Mapuordit, veramente tanti e stupendamente immensi, sotto cui il villaggio vive la sua vita sociale, riescono ad annullare gli effetti nocivi di dieci chili di plastica che vengono bruciati ogni giorno su una superficie di oltre 4 chilometri quadrati e dei gas di scarico di una cinquantina di moto, quasi sempre ferme per la mancanza di soldi per comprare il carburante?

Sotto gli alberi di Mapuordit si vive...
In ogni “cortile” c’è almeno un albero “lulu” e sotto a questo... le donne più giovani pestano il mais o il miglio o il sorgo per la polenta... e gli uomini si radunano a parlare di donne e di vacche, e del tempo... a maggio si raccolgono i vicini per recitare insieme il santo Rosario...
Ma di alberi “lulu” nel villaggio ce ne sono tanti: per fare ombra ai commercianti del mercato... per fare ombra agli anziani ed ai saggi ed alle autorità per le loro riunioni... per celebrare i “processi” che prevedono multe o questioni di famiglie o etnie o greggi... per raccogliere le registrazioni per le elezioni o il Referendum... la vita ruota molto intorno a questi mastodontici ombrelli parasole e parapioggia!

L’odore della diossina di Francesco, secondo me, è l’odore di questa terra, dei suoi abitanti, delle sue piante... un odore un po’ acre a cui ci si abitua presto (e quando atterri all’aeroporto, in qualsiasi aeroporto) lo senti subito! Certo, con un po’ di fastidio iniziale, data l’abitudine all’odore del sudore e dei deodoranti delle metropolitane, dei gas di scarico di migliaia di auto e moto per terra e di centinaia di aerei che scaricano di tutto e di più sulle nostre teste unte di prodotti per perdere prima i capelli, delle cacche dei cani puliti e lavati dei cittadini sporcaccioni... Con il caldo che c’è qui, anche le grandi cacche delle vacche si seccano in pochi minuti e non emanano alcun “profumo di campagna” come lo chiamano i nostri cittadini...

lunedì 8 novembre 2010

La Maratona di Mapuordit

Oggi si è finalmente svolta la “Maratona di Mapuordit”, 6 chilometri di corsa o camminando, per andare a conquistarsi una t-shirt con la scritta: “Sudan will never be the same again” (Il Sudan non sarà mai più lo stesso).

Padre Daniele Moschetti, organizzatore infaticabile di “eventi” volti ad attirare l’attenzione dei poveri, ma soprattutto dei giovani, con l’aiuto e la collaborazione di “Libera International” ed altre associazioni, ma soprattutto con l’aiuto dei suoi infiniti amici sparsi in tutto il mondo, ha fatto diventare una marcia di 6 chilometri in uno sperduto villaggio del Sud Sudan, un “evento storico” per questa area geo-politica che si sta rapidamente avvicinando al Referendum per l’autodeterminazione.
Non ci sono pre-iscrizioni e questo, purtroppo, è l’unico handicap dell’organizzazione, perché crea problemi alla fine della “camminata” per la consegna delle t-shirt. Certo però che il successo è garantito: la Maratona è stata annunciata dalla Radio diocesana, propagandata per un mese tutte le domeniche alle Messe ed a tutte le altre manifestazioni che ci sono state, dalla festa di san Daniele Comboni, a quella della Maturità dei ragazzi della scuola secondaria.

Alla partenza, piuttosto puntuale per il posto, verso le 9.30, ci sono oltre mille persone, che all’arrivo, per il ritiro della t-shirt, saranno diventate almeno duemila!
L’organizzazione prevede la collaborazione di una cinquantina di volontari locali e stranieri: l’impegno di tutti per il successo e la regolarità della gara è veramente totale ed ammirevole. Si va da chi deve precedere la corsa con la propria moto, a chi deve distribuire l’acqua, a chi deve “marcare” con il pennarello il braccio o la mano dei partecipanti, in ben quattro punti differenti del percorso, a chi dovrà, purtroppo per lui, distribuire la t-shirt...
Il sottoscritto ha la fortuna di lavorare meno di tutti, dovendosi occupare, insieme ad un giovane medico italiano, del reportage fotografico, che viene messo su Facebook il giorno dopo la Maratona e verrà proiettato la prossima settimana a tutto il villaggio.

Inutile dire che la corsa non ha alcun valore sportivo, anche se vedo partecipare molte donne anziane, di buon passo... ma si corre per il Referendum, o meglio... per la t-shirt!

Al termine della gara, dopo la squalifica del secondo, si fa un ordine d’arrivo, che diverrà poi oggetto di contestazioni tra i giudici “amici dei concorrenti”! Si consegnano prima le magliette a tutti i partecipanti e non, fino a che ce ne sono. Domani consegneremo, a mente fresca, cuore leggero ed una notte di ripensamenti, i primi tre premi sia ai maschi che alle femmine. E’ bene quel che finisce bene!

Nei giorni successivi verranno i capi del villaggio, il Prefetto e il Sindaco, vengono a complimentarsi con padre Daniele ed a ringraziarlo per quanto sta facendo. In risposta gli viene comunicato che, a parte un’ultima manifestazione sportiva a dicembre, padre Moschetti dovrà lasciare Mapuordit entro il 31 dicembre, per la promozione a “Provinciale del Sud Sudan”. Pronta la risposta, gentile, ma ovviamente inutile: “scriveremo ed andremo dal vescovo a dire che noi non siamo d’accordo... troppi preti vengono e troppo pochi fanno qualcosa!”. Sicuramente hanno ragione, ma speriamo che la Provvidenza ed il buon senso dei superiori, aiutino questa povera gente e che padre Daniele sia sostituito da qualcuno altrettanto valido e soprattutto altrettanto “presente” nel villaggio!

domenica 7 novembre 2010

Come Tiziano

In settimana scorsa, nonostante le scuole e i vari impegni comunitari, la preparazione alla Maratona, e quant’altro, ho avuto tempo anche per fare un paio di lavoretti personali e meditare un po’, oltre che cominciare a leggere un nuovo libro…

I lavoretti sono stati impegnativi, almeno quello di ricucirmi i jeans! Roba da far inorridire i nostri ragazzi, che sono disposti a spendere dei soldi pur di avere i jeans consunti e rotti… ebbene sì, ho messo due toppe sulle gambe e ho riparato altri due piccoli strappi da consumo... speriamo che resistano almeno ad un paio di lavaggi! Poi ieri è arrivato James Lat Abut, il direttore della mia scuola di periferia, che vende gli abiti usati che arrivano dall’Europa, e gli ho comprato un paio di pantaloni, tipo jeans, ma senza cintura, in ottimo stato, per la modica cifra di tre pounds sudanesi, pari a poco più di un dollaro, vale a dire circa euro 0,90… che se li metto tre volte li ho ammortizzati!
L’altra settimana Maria, la donna che lava e stira i nostri vestiti, (ovviamente li lava in una cariola in cui mette acqua e sapone, e stira con il ferro a carbonella), stirandomi appunto una polo comprata a meno di tre euro in svendita in Italia, me l’ha perforata proprio sul davanti… essendo nuova la metto tranquillamente anche con il buco… anzi, passa un po’ d’aria!

Ho finito di leggere l’ultimo libro di Tiziano Terzani, scritto in realtà dal figlio Folco: veramente bellissimo! Sarà che ho la stessa visione del mondo e che aveva solo qualche anno più di me e quindi gli stessi riferimenti storico-politici, certo che ci ho riletto quanto meno quello che avrei sempre desiderato fare nella mia vita. Se le “Lettere contro la guerra”, del 2001/2002, scritto dopo quell’11 settembre che non dimenticheremo mai, sia per quanto accaduto, sia per le follie conseguenti, erano un manifesto politico, sicuramente “La fine è il mio inizio” è un libro di “meditazione” che indicherei soprattutto ai giovani, per capire qualcosa di più dei valori positivi della vita nel mondo attuale.
Invece siamo riusciti a “globalizzare” anche le loro vite, oltre gli usi e costumi nostri e loro, per poterci guadagnare di più sopra, tanto noi poi ce ne andiamo…

Ora ho cominciato a leggere il primo volume dell’Enciclopedia della Musica, la storia della musica dal “canto romano e gregoriano” a Bach ed Haendel. Beh, per chi ama la musica antica e medievale, indubbiamente interessante!

venerdì 5 novembre 2010

Buon compleanno...


Martedì mattina, giorno dei Defunti, siamo partiti alle 7,20 per andare a Rumbek. Penso con piacere che potrò man­dare un SMS a mia moglie per sapere come sta, visto che non ho da giorni sue notizie…

Come al solito, alla partenza si presenta qualcuno di troppo per chiedere un passaggio: accettiamo di portare tre persone ad Agany, il primo paese che si incontra; al ritorno non potremo farlo perché saremo pieni stracarichi.
Viaggiamo in silenzio fino ad Atiaba… la strada è pessima… ci mettiamo oltre un’ora e mezza per fare trenta chilometri… e ne mancano altri cinquanta…
Arriviamo al ponte sul fiume: è ormai quasi crollato a causa del passaggio dei carri armati e dei grandi containers! Se crolla si interrompono le comunicazioni tra Juba e Rumbek, e noi rimaniamo praticamente fuori dal mondo… per quanto non ci siamo già!
La strada prosegue in condizioni pessime fino a un paio di chilometri da Rumbek, dove arriviamo che sono passate abbondantemente le dieci: ottanta chilometri in circa tre ore…

La mattina scorre veloce. Abbiamo da fare parecchi giri e diversi acquisti; per fortuna la cittadina è piccola… ma come è vivace! Qui ci sono camion, fuoristrada di tutte le organizzazioni possibili, qualche rarissima auto, i motorini a tre ruote per il trasporto di persone e bagagli e tante motociclette cinesi di piccola cilindrata… ma ogni tanto si vedono passare anche i pastori con vesti coloratissime corte, la lancia in mano, i capelli tinti biondi con l’urina delle vacche.
Verso le due del pomeriggio padre Daniele ci porta a mangiare al “ristorante”, restiamo in veranda, dove c’è la polvere della strada, ma solo quella… Le cuoche ci propongono piatti locali: gli ugandesi prendono la polenta di miglio con la carne in umido, padre Daniele ed io preferiamo i “chapati”, volgarissime crepes, con dentro due uova al padellino: ottimi! Da bere solo acqua minerale “Nilo” o coca-cola o gassosa… a meno di non bere l’acqua che servono da una brocca in un bicchiere che viene sciacquato al momento e passato da uno all’altro a turno… vada per la gassosa, meglio del tifo e dell’Aids…

Ultima tappa, prima del ritorno, alla radio diocesana, Radio Good News, diretta da un prete diocesano che si chiama Donbosco, per farci fare la pubblicità per la Maratona del giorno 9 novembre. Sapremo dopo la Maratona che è riuscito a far passare la notizia anche alla BBC!

Il ritorno inizia alle quattro e mezza, in ritardo per arrivare con la luce e per la messa dalle suore. La strada sembra peggiore di quella stessa fatta all’andata: siamo anche carichi e ben pesanti. Al ponte sul fiume c’è da aver paura… si passa… anche questa è fatta!
Si arriva al tramonto, dopo un paio d’ore, ad Atiaba, dove veniamo fermati da un catechista che ci chiede di portare la sorella e due amiche al paese vicino. Se prima eravamo carichi…
Tutto bene, salvo l’acqua ed uno strano rumore che salta fuori dopo qualche pozzanghera; fortunatamente si arriva dopo tre ore e mezza, per i soliti ottanta chilometri…
Dopo cena padre Daniele dice la Messa per i Defunti. Siamo soli ed è bello pregare per i nostri defunti così. Ed anche per i quarant’anni di mia figlia!


La mattina del giorno dopo, il 3, riprendo il lavoro normale, ma mi rimane il pensiero della città: a Mapuordit circolano una quindicina di fuoristrada, un paio di camion, una cinquantina di motociclette, ma forse meno, e per il resto un paio di centinaia di biciclette e tanti pedoni… non ci sono inquinamento, incidenti, rumore… non si deve dire ai bimbi “attenti ad attraversare la strada!”… meglio, bisogna dirgli “attenti a guardare per terra”, visto che circolano liberamente intere mandrie di vacche che non si curano di ciò che lasciano per strada… e i bimbi, e non solo loro, circolano a piedi nudi, e molto spesso nudi… e basta!

La settimana finisce con un altro bimbo che se ne va per malattie non diagnosticate in tempo: purtroppo molte famiglie vanno prima dai guaritori animisti e quando decidono che l’ospedale può fare di più è ormai troppo tardi…
Mi dicono che nel nostro ospedale, su cui gravitano circa diecimila abitanti della zona, muoiono in media cinque bimbi al mese… questo mese siamo sotto media, per fortuna!

domenica 31 ottobre 2010

Si va in città

Ieri è finito ottobre, è finito il primo mese a Mapuordit, è finita la recita del Rosario nelle famiglie del villaggio, e sono finite le scuole…
Sabato mattina è arrivato il vescovo, mons. Mazzolari, per alcuni incontri organizzativi in preparazione delle giornate per la gioventù che ci saranno a metà dicembre ad Yirol e per dare la Cresima ad otto persone adulte.
Ci si saluta e ci si lascia subito ai vari impegni. Ci troveremo a cena. Anche qui niente di nuovo: solo chiacchiere e discorsi organizzativi, per domani, per la “Maratona” del 9 novembre, e per il convegno giovanile di Yirol.
Per due giorni si mangia molto meglio… e c’è anche il pesce! Speriamo che Sua Eccellenza torni spesso…

Domani andremo a Rumbek con padre Daniele e gli operai ugandesi che stanno lavorando presso l’ospedale ed al Centro Pastorale per fare acquisti e rinnovare il mio visto: è stato fatto in anticipo e viene a scadere il 19 novembre, per cui devo rifarlo per altri tre mesi. Si va in città! … si fa per dire… 

lunedì 25 ottobre 2010

Piccolo giallo

Ho passato qualche giorno di silenzio e preghiera, pur continuando a lavorare sempre, come se niente fosse successo… forse per dare il giusto peso alle cose: “Lasciate che i morti seppelliscano i morti…”, mentre ero tra i vivi e i bisognosi…
Attenzione… sto cadendo nel tranello dell’autoincensazione… No!!! Sono l’ennesimo peccatore, strapeccatore, superpeccatore che cerca, in qualche modo, di salvare l’anima…

Mia sorella, quella che non ha internet, mi fa dire dall’altra sorella che vuole scrivermi per posta e di darle l’indirizzo… L’indirizzo per la posta??? Mi faccio una risata!
Le uniche strade asfaltate, nel Sud Sudan, sono tali per un totale di circa 50 km e si trovano vicino alla capitale... Le poste non esistono... Tutto quello che arriva qui, lo andiamo a prendere a Rumbek, dove arriva con il volo settimanale della Kenya Airlines che qui atterra, oltre agli aerei dell'ONU (come quello che ho preso io) e viene da Nairobi (Kenya), unico paese con rapporti "normali"... Se non avessimo la connessione satellitare per l'ospedale (120 posti letto messi molto male, nonostante gli sforzi di tutti i santi operatori!), saremmo completamente isolati...
La comunicazione qui, salvo il satellite per internet, è “pedestre”, come avrebbe detto Totò… si va a piedi a scuola, magari a due chilometri, per sentirsi dire che “per oggi non si fa lezione”… o si va nel paese a dieci chilometri e chi si cerca è venuto da te passando da un’altra strada… l’orologio e il calendario non servono…

Sabato e domenica padre Daniele ha voluto inaugurare il “Centro Pastorale”, con un campo di calcetto e basket e uno per la pallavolo. Poi ci saranno anche una biblioteca, una postazione informatica, un dormitorio per i giovani che arrivano dalla periferia della parrocchia nelle varie occasioni, ed un ufficio parrocchiale. Per far partecipare tutti, ha organizzato tre tornei, per ognuno degli sport.
Venerdì mattina eravamo andati dai “maggiorenti” del villaggio, sindaco, prefetto e giudice di pace, ad invitarli per la premiazione; li troviamo riuniti sotto un albero, con tante sedie e un solo tavolo; padre Daniele coglie l’occasione per presentarmi. Così mi chiedono subito se, dopo la fine delle scuole, a metà novembre, posso organizzare un corso di informatica di base per le autorità. Ci mancherebbe che no!

Finalmente si gioca, si discute, per fortuna non si va oltre… La squadra di un villaggio vicino, con soli otto giocatori, vince il torneo di volley ed arriva seconda in quello di calcetto! Alla fine premi e strette di mano tra tutti, in nome soprattutto della pace e del prossimo referendum “secessionista”. Io ho fatto, direi ovviamente, il fotoreporter.

Domenica sera si riesce, involontariamente, ad organizzare anche il “giallo” in casa…
La mattina alle otto il parroco, padre Antoine, è partito per un giro nella parrocchia, insieme ad un catechista, una suora filippina delle nostre vicine, e un paio di altre persone. Invitandomi ad andare con loro, mi dice che tornerà verso le 16. Dico di no perché voglio finire il lavoro fotografico all’inaugurazione del Centro Pastorale.
Quando sono le venti arriva la superiora delle suore australiane a chiedere dove sia finito padre Antoine, visto che non si vede ancora arrivare.
Padre Daniele cerca invano di tranquillizzarla, anche se padre Antoine è sempre tornato molto presto. Alla fine decidono di andare insieme a cercarlo sulla strada di Agany, dove padre Daniele esclude di poterlo trovare. Ci si organizza con il telefono satellitare ed alla “spedizione” si unisce anche fratel Andres.
Quando ormai sono le nove e mezzo, arriva padre Antoine con la sua compagnia. Ha semplicemente avuto molto da fare e si è intrattenuto di più in qualche “cappella”… Avvisiamo padre Daniele e sorella Philippa che i “dispersi” sono tornati alla base. Così rientrano anche i “ricercatori”…
Piccolo “giallo”, tanto per non passare un giorno senza guai speciali…