Progetto INFORMAFRICA


Ridurre il "digital divide" portando la nostra CONOSCENZA
in modo ETICO e RESPONSABILE, ma non i nostri "modelli di vita"

sabato 30 aprile 2016

1 - In Congo




Quest'anno 2016 si preannuncia denso di viaggi e missioni : dopo i primi due mesi trascorsi in Sud Sudan e un mese e mezzo in Italia, eccomi di nuovo in volo verso l'Africa, per la prima volta verso il Congo, nono paese in cui mi reco in questo continente grande come l'America del nord, più l'Europa Occidentale più un'abbondante parte di Asia… Mi fermerò qui fin verso la fine di maggio : un mese completo per fare un corso sul foglio elettronico a medici ed ammini­strativi di un ospedale pediatrico a circa quaranta chilometri dalla capitale Kin­shasa.
Il progetto, delle associazioni Agape e “Hub for Kimbondo” di Roma, e appog­giato da Informatici Sen­za Frontiere, di cui faccio parte, rientra nello sviluppo tecnologico di questo ospedale.

L'Ospedale Pediatrico di Kimbondo è nato negli anni '80 come piccolo dispensa­rio ad opera della dr.ssa Laura Perna, mancata di recente, senese di adozione, e si è poi sviluppato come accoglienza ai bambini abbandonati ed ammalati, poi ai giovani portatori di handicap di ogni tipo, ed ora, con l'opera che conti­nua sotto la direzione di due missionari « claretiani », padre Hugo, cileno, e padre Victor, congolese, si sta ulteriormente sviluppando con reparti di chirur­gia, odontoiatria, neonatolo­gia, psicopedagogia, telemedicina, sempre rivolti ai bimbi ed alle loro proble­matiche. Lavorano qui come dipendenti, oltre duecento persone, quasi tutte lo­cali, e una quindicina di volontari di svariate nazionalità, in nome di diverse as­sociazioni che aiutano questa opera.

Prima di partire avevo quasi paura di dover vivere nella capitale, che conta ol­tre dieci milioni di abitanti, contrariamente alla mia “abitudine” alla vita tran­quilla nei villaggi. Quando, alle 4 del mattino di sabato sono arrivato all'aero­porto, ho trovato una valigia un meno, ovviamente quella dei computer, ma un padre Hugo in più… il “volo risparmioso” lo ha costretto a venire in piena not­te…
La valigia, per la cronaca, ci è stata riconsegnata il lunedì, quasi integra e bella impacchettata. Manca una ruota: ho trovato le viti dentro la valigia… l'hanno smontata e mi hanno rimesso dentro le viti, attraverso il buco che si è creato… Deve essere stato come un “pit stop” della Formula 1… Fantastico!
La prima sorpresa, dopo la valigia, è stata che Kimbondo non è un quartiere di Kinshasa, ma è una cittadina a se stante, addirittura in un'altra diocesi.
L'ospedale, con tutto il suo grande comprensorio, è su una bella collina affac­ciata ad una verde valle volta ad ovest, con il sole che nasce alle spalle della struttura e tramonta in faccia, con i “solitamente splendidi” tramonti africani.
Vivo quindi come in un villaggio inerpicato su diversi livelli: in cima i reparti e gli uffici; al centro del pendio la chiesa aperta, altri reparti, le sale di riunioni e la sala in cui si svolgeranno i corsi; in basso le camere per gli ospiti e alcuni volontari, e il refettorio.
I primi giorni era caldissimo e, perdurando la stagione “umida” o “delle piog­ge”, l'umidità è perennemente sopra il 90%. Durante la settimana il caldo è ca­lato e ora si sta bene di giorno e freschini di notte. Ottimo. Niente di che: il tempo fa sempre come vuole, e noi ci adattiamo, anche se, per scaramanzia, troppo spesso ci affidiamo ai maghi del meteo.
La prima settimana è trascorsa tra l'organizzazione, l'ambientamento, la ricer­ca delle connessioni con il resto del mondo e l'inizio del corso.

La domenica l'abbiamo spesa per conoscere il posto, vedere i reparti, andare alla messa: due ore di danze e canti con medici, infermieri, educatori, volontari e moltissimi dei bimbi ospiti, con tutte le loro infermità, le loro ferite fisiche e la loro gioia di essere insieme a tutti gli altri, anche alla ricerca di una stretta di mano, di un sorriso, di un “bonjour”…
Durante la messa di venerdì, mentre una suora assistente leggeva le letture, un ragazzo ha avuto un attacco di epilessia ed è caduto per terra. La suora ha smesso di leggere, lo ha calmato e lo ha lasciato steso, mentre la messa è con­tinuata senza interruzione. Dopo pochi minuti è arrivato un infermiere che ha “risvegliato” il ragazzo, lo ha fatto mettere in piedi e se lo è riportato al repar­to. Nessuna sceneggiata, nemmeno una parola… solo i gesti necessari e tanta dolcezza nel soccorso.

L'aula è stata preparata non senza travaglio (qui si direbbe subito “da sala par­to”), ma tutto è bene quel che finisce bene: i pc sono stati installati, il software pure, le “ciabatte” che accolgono diversi tipi di attacchi si sono trovate… e la corrente elettrica, almeno quella, c'è quasi sempre!
Il corso è iniziato: primi tre giorni di rodaggio e da lunedì si farà sul serio…

Essendoci una buona presenza di volontari italiani, oltre ad uno spagnolo ed al padre Hugo, che mangiano con noi, la cucina è buona e ogni tanto si varia an­che, almeno alla sera. Manca la frutta, ma pare che sia molto cara e scarsa, probabilmente anche per la stagione. La fame non si soffre assolutamente e va bene così. C'è anche una “moka gigante” per i “malati” del caffè italiano...