Progetto INFORMAFRICA


Ridurre il "digital divide" portando la nostra CONOSCENZA
in modo ETICO e RESPONSABILE, ma non i nostri "modelli di vita"

domenica 31 ottobre 2010

Si va in città

Ieri è finito ottobre, è finito il primo mese a Mapuordit, è finita la recita del Rosario nelle famiglie del villaggio, e sono finite le scuole…
Sabato mattina è arrivato il vescovo, mons. Mazzolari, per alcuni incontri organizzativi in preparazione delle giornate per la gioventù che ci saranno a metà dicembre ad Yirol e per dare la Cresima ad otto persone adulte.
Ci si saluta e ci si lascia subito ai vari impegni. Ci troveremo a cena. Anche qui niente di nuovo: solo chiacchiere e discorsi organizzativi, per domani, per la “Maratona” del 9 novembre, e per il convegno giovanile di Yirol.
Per due giorni si mangia molto meglio… e c’è anche il pesce! Speriamo che Sua Eccellenza torni spesso…

Domani andremo a Rumbek con padre Daniele e gli operai ugandesi che stanno lavorando presso l’ospedale ed al Centro Pastorale per fare acquisti e rinnovare il mio visto: è stato fatto in anticipo e viene a scadere il 19 novembre, per cui devo rifarlo per altri tre mesi. Si va in città! … si fa per dire… 

lunedì 25 ottobre 2010

Piccolo giallo

Ho passato qualche giorno di silenzio e preghiera, pur continuando a lavorare sempre, come se niente fosse successo… forse per dare il giusto peso alle cose: “Lasciate che i morti seppelliscano i morti…”, mentre ero tra i vivi e i bisognosi…
Attenzione… sto cadendo nel tranello dell’autoincensazione… No!!! Sono l’ennesimo peccatore, strapeccatore, superpeccatore che cerca, in qualche modo, di salvare l’anima…

Mia sorella, quella che non ha internet, mi fa dire dall’altra sorella che vuole scrivermi per posta e di darle l’indirizzo… L’indirizzo per la posta??? Mi faccio una risata!
Le uniche strade asfaltate, nel Sud Sudan, sono tali per un totale di circa 50 km e si trovano vicino alla capitale... Le poste non esistono... Tutto quello che arriva qui, lo andiamo a prendere a Rumbek, dove arriva con il volo settimanale della Kenya Airlines che qui atterra, oltre agli aerei dell'ONU (come quello che ho preso io) e viene da Nairobi (Kenya), unico paese con rapporti "normali"... Se non avessimo la connessione satellitare per l'ospedale (120 posti letto messi molto male, nonostante gli sforzi di tutti i santi operatori!), saremmo completamente isolati...
La comunicazione qui, salvo il satellite per internet, è “pedestre”, come avrebbe detto Totò… si va a piedi a scuola, magari a due chilometri, per sentirsi dire che “per oggi non si fa lezione”… o si va nel paese a dieci chilometri e chi si cerca è venuto da te passando da un’altra strada… l’orologio e il calendario non servono…

Sabato e domenica padre Daniele ha voluto inaugurare il “Centro Pastorale”, con un campo di calcetto e basket e uno per la pallavolo. Poi ci saranno anche una biblioteca, una postazione informatica, un dormitorio per i giovani che arrivano dalla periferia della parrocchia nelle varie occasioni, ed un ufficio parrocchiale. Per far partecipare tutti, ha organizzato tre tornei, per ognuno degli sport.
Venerdì mattina eravamo andati dai “maggiorenti” del villaggio, sindaco, prefetto e giudice di pace, ad invitarli per la premiazione; li troviamo riuniti sotto un albero, con tante sedie e un solo tavolo; padre Daniele coglie l’occasione per presentarmi. Così mi chiedono subito se, dopo la fine delle scuole, a metà novembre, posso organizzare un corso di informatica di base per le autorità. Ci mancherebbe che no!

Finalmente si gioca, si discute, per fortuna non si va oltre… La squadra di un villaggio vicino, con soli otto giocatori, vince il torneo di volley ed arriva seconda in quello di calcetto! Alla fine premi e strette di mano tra tutti, in nome soprattutto della pace e del prossimo referendum “secessionista”. Io ho fatto, direi ovviamente, il fotoreporter.

Domenica sera si riesce, involontariamente, ad organizzare anche il “giallo” in casa…
La mattina alle otto il parroco, padre Antoine, è partito per un giro nella parrocchia, insieme ad un catechista, una suora filippina delle nostre vicine, e un paio di altre persone. Invitandomi ad andare con loro, mi dice che tornerà verso le 16. Dico di no perché voglio finire il lavoro fotografico all’inaugurazione del Centro Pastorale.
Quando sono le venti arriva la superiora delle suore australiane a chiedere dove sia finito padre Antoine, visto che non si vede ancora arrivare.
Padre Daniele cerca invano di tranquillizzarla, anche se padre Antoine è sempre tornato molto presto. Alla fine decidono di andare insieme a cercarlo sulla strada di Agany, dove padre Daniele esclude di poterlo trovare. Ci si organizza con il telefono satellitare ed alla “spedizione” si unisce anche fratel Andres.
Quando ormai sono le nove e mezzo, arriva padre Antoine con la sua compagnia. Ha semplicemente avuto molto da fare e si è intrattenuto di più in qualche “cappella”… Avvisiamo padre Daniele e sorella Philippa che i “dispersi” sono tornati alla base. Così rientrano anche i “ricercatori”…
Piccolo “giallo”, tanto per non passare un giorno senza guai speciali… 

giovedì 21 ottobre 2010

Meglio sotto gli alberi...

Oggi ci sono stati i funerali della mamma… La sera andiamo a recitare il Rosario, come ogni sera del mese di ottobre, in una “casa” diversa, meglio sotto gli alberi di un “cortile”; alla fine andiamo a trovare e benedire la tomba di Marc… un tumulo con una croce di legno legata con un filo d’erba, in mezzo al cortile… dei pezzi di legno per evitare che qualcuno ci vada per sbaglio… il fuoco con il poco da mangiare… la mamma e il papà e tanti parenti, distrutti dal dolore… 

Sono contento di esserci arrivato… Mi fa piacere pregare per tutti due insieme. Un po’ nella continuazione dell’unione delle due morti di un giorno di ottobre.

martedì 19 ottobre 2010

Requiem

Domenica con Padre Daniele siamo andati a fare un lunghissimo giro di parte della parrocchia; praticamente 120 km di pista e buche: negli ultimi 20 km, rientrando, abbiamo forato una gomma e siamo rimasti affossati in una buca di fango... Eravamo, da un lato fortunatamente, in undici persone su un Toyota Land Cruiser, con gomma di scorta buona (sostituita) e riduttore funzionante (che ci ha tirati fuori dal fango)!
La Messa è stata celebrata sotto un albero: iniziata sotto uno scroscio di pioggia benedi-cente, e proseguita sotto l’acqua che pioveva dai rami…

Ma cosa faccio io in questo posto? Insegno informatica, con corsi diversi nella dislocazione e nel tempo, ma analoghi nella sostanza: a ragazzi non scolarizzati, agli insegnanti della scuola secondaria, ai preti di una missione e presto anche alle autorità del villaggio, che me lo hanno chiesto espressamente. Il corso più bello lo tengo in una capanna fuori dal villaggio, con il generatore a benzina, un proiettore ed un notebook, con le finestre e la porta tappate con assi di legno per poter vedere quello che faccio sulla parete di canne coperta da un lenzuolo a fiori... e se non c’è il proiettore… all’aperto, come don Milani, senza voler fare paragoni! Occorre proprio una foto della mia “scuola di informatica"...
In più faccio il tecnico informatico per chiunque, dall’ospedale alle scuole a qualche raro ragazzo che ha un portatile.

Ieri ho preparato la programmazione per la scuola secondaria e nel pomeriggio ho iniziato alle 15 le lezioni in periferia. Alle 16 abbiamo dovuto terminare: poco distante c'è stata una sparatoria tra allevatori con due morti e cinque feriti e qualcuno degli allievi era interessato direttamente...
Superfluo commentare: il posto è interessante e non ci si annoia!

Stamattina le scuole sono chiuse per motivi di sicurezza. E’ arrivato un “commissario” da Juba per tenere sotto controllo la situazione: c’è la paura che si ricominci con le vendette e le controvendette.
Dal 2005, dopo la pace tra nord e sud e la divisione amministrativa, c’è stata una lunga scia di “eventi” tra allevatori e tra questi e l’esercito. L’anno passato i soldati hanno ucciso due giovani pastori, pare senza motivo (ma qui i condizionali sono sempre obbligatori!); dopo qualche mese gli allevatori hanno fatto saltare per aria quattordici soldati. Per reazione i soldati hanno messo a ferro e fuoco alcuni villaggi, ancora oggi abbandonati.
La gente cambia spesso casa, per vari motivi: dall’acqua alle vendette, dalla guerra civile agli spostamenti per via degli animali; non si riesce nemmeno a sapere a grandi linee quanti sono i residenti in una zona piuttosto che in un’altra.

Sono in ospedale, perché in comunità la corrente elettrica c’è solo la sera. Sono quasi le 11 e si sente urlare e piangere disperatamente in uno dei padiglioni. Deve essere morto qualcuno. Dopo qualche minuto torna il silenzio. La vita continua.
Torno a casa, di fronte all’ospedale. E’ quasi l’una e il sole è fortissimo. Ricominciano i lamenti e le urla. In ospedale è morto un bambino.
Chiedo a padre Antoine, il parroco, se non va a dare una benedizione e dire una preghiera o una parola ai parenti. La risposta è tranquilla: no, non mi hanno chiamato. Intanto esce dall’ospedale un uomo con in braccio il bimbo avvolto in una coperta e seguito dalle donne urlanti: lo portano a casa per il funerale e la sepoltura; dato il clima i morti si seppelliscono subito nel cortile di casa.
Rimango senza parole e mi viene da piangere nel vedere quel fagottino, mi faccio il segno della Croce, dentro di me recito un “Requiem” e me ne vado in cappella a pregare per il bimbo e per i suoi. L’”Angelus domini” è una preghiera delle più belle e l’ora è questa…

Dopo cena si torna in ospedale per scaricare la posta elettronica. Siamo in tre, padre Daniele, padre Antoine ed io…
Vedo subito che c’è una e-mail di mia sorella, senza oggetto… mi ha scritto ieri… strano… Quando l’apro, capisco tutto… è mancata la mamma.
Leggo anche l’altra posta e comunico la notizia a qualche amico, oltre a rispondere a mia sorella e tramite lei anche al resto della famiglia.
Per il resto della sera rimango in cappella a pregare, cercando di unire la mamma al piccolo Marc, morto stamattina.

giovedì 14 ottobre 2010

La povertà

L’avvicinarsi del referendum per la definitiva divisione tra Nord e Sud Sudan, già in atto da qualche anno, sta riscaldando il Paese.
Domenica 10 ottobre, in occasione della festa di San Daniele Comboni, il card. Wako, vescovo di Khartoum, è stato oggetto di un fallito attentato personale.
Le dichiarazioni di Amin el-Bashir, presidente del Nord, di “accettare il risultato” ma solo “se sarà per l’unità del Paese” e quelle del card. Wako, che afferma che la divisione in due stati indipendenti porterà “all’interruzione dell’oleodotto che porta il petrolio dal sud al nord”, non sono bene auguranti.
Il Sud è sotto il controllo dell’esercito, che sta operando il “disarmo porta a porta”. Si trovano però circa il 30% delle armi che sarebbero rimaste nelle mani della popolazione nel 2005, alla fine della guerra civile durata oltre 20 anni. Le altre rimangono nascoste per le evenienze future e per la legittima difesa…
La povertà è estrema, soprattutto nelle zone rurali: non vi sono strade né fabbriche, non vi sono uffici, non vi sono commerci né soldi. Il guadagno di una persona che riesce a trovare un lavoro da guardiano o come lavoratore di fatica può arrivare ai 60/80 euro al mese (250 pounds sudanesi) che consentono di vivere a livelli minimi.
L’assoluta mancanza di prospettive è sicuramente la peggiore guida per la vita di uomini e donne che non hanno mai lavorato e forse mai potranno farlo.

Il Sud Sudan è indietro di oltre cinquanta anni rispetto all’Italia (in certi casi beato lui!), e la soddisfazione di poter fare e dare qualcosa, anche solo con la presenza, è grandissima, e quella di vedere dei giovani che vogliono anche solo capire cosa c’è in un PC che non potranno forse mai permettersi, è fuori dall’ordinario, commovente.

Gli interventi attuali dei paesi occidentali concernono quasi esclusivamente la sanità e l’alimentazione: giusto per farli sopravvivere al peggio.
I missionari si occupano fondamentalmente della scolarizzazione, ma la Chiesa appare molto impegnata anche nell’inculturazione politica. La posizione dei missionari a favore della divisione del Sudan non tiene forse tanto conto che l’unità aiuterebbe una “condivisione” delle risorse, molto maggiori al sud che al nord, ma forse più del fatto che il nord è islamico e sarebbe meglio una divisione di questo dalle etnie meridionali cristiano-animiste. E’ da dire però che oggi il nord assorbe e consuma la maggioranza delle risorse del sud senza pagarle in servizi e/o altre risorse e lasciando il sud in situazione precaria.
La zona di Mapuordit, dove mi trovo, a circa 80 km a est-sudest di Rumbek, è assolutamente rurale e dedita all’allevamento di vacche, capre e qualche pecora. Scarsissima la coltura di ortaggi, un po’ di mais ed arachidi, quasi nulla quella di frutta, nonostante l’ambiente sia abbastanza lussureggiante, almeno ora che siamo alla fine della stagione delle piogge.
La gente vive in capanne, raggruppate per famiglie allargate; il centro del villaggio è quello dove si svolge il mercato; intorno ci sono le scuole, quasi tutte cattoliche, e l’ospedale. Indubbiamente san Daniele Comboni e i suoi successori hanno fatto un lavoro straordinario, sia per l’alfabetizzazione, sia per la sanità: non ci sono medici locali, ma soltanto quelli stranieri, religiosi o volontari; ed anche molti ausiliari che sono qui, giovani dottori e volontari di religioni ed associazioni diverse vengono da altri Paesi.

lunedì 11 ottobre 2010

Mapuordit

Dopo un week-end passato alle costole di padre Daniele per via della festa di ieri di san Daniele Comboni, oggi si comincia a programmare il lavoro, a conoscere la gente del posto e con cui dovrò collaborare.

La comunità comboniana è costituita, oltre che da padre Daniele, superiore, anche da un sacerdote togolese, parroco, padre Antoine Kondo, che è, come è piccolo il mondo!, cugino del mio amico don Ambroise Atakpa, parroco a Potenza. Poi ci sono due “fratelli”: fratel Andres, messicano, medico qui all’ospedale, e fratel Rosario Iannetti, napoletano verace, medico, direttore sanitario dell’ospedale stesso.
A fianco alla comunità comboniana, che si trova di fronte all’ospedale, c’è una piccola comunità di suore australiane, che si occupa dell’istruzione (la superiora, suor Philippa, dirige la scuola secondaria) e dei volontari, che si trovano anch’essi in questa zona. Con le suore vive anche Pauline, una laica dedita alla direzione organizzativa dell’ospedale.

La comunità comboniana ha, come qui ogni cosa, larghi spazi: una casa in muratura per il parroco e qualche ospite importante; due case in legno di due camere, per gli altri padri e confratelli; due casette di una camera per gli ospiti come me. I servizi igienici sono in comune per tutti, esclusa la casa del parroco; due docce, una turca, una specie di water su un’altra turca e un water vero e proprio, tutto in tre casottini di lamiera in giardino. Il “lavandino” è una fontanella in giardino e chi vuole lo specchio se lo porta, ma non può appenderlo! Poi ci si chiede perché i missionari hanno la barba lunga…
Ci sono poi altri “locali”: una capanna-refettorio, una capanna-magazzino, una capanna-cucina, la cappella, questa in muratura!, e qualche “gazebo” coperto di canne, per chiacchierare o leggere all’ombra.
Qualche grande albero orna il giardino e crea zone di frescura relativa, oltre a dare alloggio a qualche gallinella americana, mentre le papere e le chiocce dormono nel pollaio.
Altri “ospiti” della comunità sono una miriade di rospetti piccoli e simpatici e una micia che ora sente la mancanza del “padrone”, fratel Rosario, in vacanza per due mesi…

Torniamo alla grande festa per san Daniele Comboni.
Padre Daniele ha organizzato un “festival” per argomenti: preghiera e poesia, musica leggera, musica folk e spettacolo. Buona la partecipazione, anche se la qualità lascia un po’ a desiderare, qualcuno cerca di prevaricare gli altri e le regole di partecipazione, e qualche ubriaco fa sfoggio del risultato della sua sbronza.
Alla fine della festa, premiazione di rito da parte delle autorità del villaggio e “cena comunitaria” offerta dalla comunità comboniana. Arrivano le ragazze con l’acqua per farci lavare le mani, poi portano a tutto il villaggio, seduto in un grandissimo cerchio, il “piatto unico” di riso e carne in umido, che si mangia con le mani; alla fine ritornano con l’acqua per sciacquarsi le mani… Onestamente mi sono fatto portare solo un po’ di riso lessato e ho mangiato quello, con le mani, ovviamente!

sabato 9 ottobre 2010

L’andata 5 - 8 ottobre ’10

Sono arrivato a Mapuordit ieri sera, dopo un viaggio complesso ma nella norma di queste parti. Il volo da Roma ad Addis Ababa e di qui a Juba è stato normalissimo, come la sosta di una notte presso la comunità comboniana della capitale sud-sudanese.
L’accoglienza dei padri è stata informale e piena di simpatia. Dopo una mattinata trascorsa a sistemare i bagagli per il volo da Juba a Rumbek, con regole di trasporto diverse, si va finalmente all’aeroporto.
Il volo è in orario e, a parte la lamentela del personale di controllo per il sovrappeso del mio bagaglio, superata dal fatto che personalmente peso sessantacinque chili e quindi posso portare più bagaglio di chi ne pesa ottanta, anche qui tutto regolare. Il volo è del Word Food Programme dell’ONU, che trasporta volontari, personale delle ONG e derrate alimentari per i punti di distribuzione delle stesse.

A Rumbek, dopo circa cinquanta minuti, si atterra su una pista in terra battuta piuttosto buona, nel “bush” (la savana), alla periferia di una città che è ancora di capanne o poco più.
Il personale controlla tutto, solo per far vedere che ha il potere di farlo, ma sono abbastanza gentili, forse anche perché sono italiano.
Mi vengono a prendere dal vescovado per portarmi alla “Pan Door” (Casa della Pace) dove dormirò in attesa dell’arrivo, domattina, di padre Daniele Moschetti, che mi viene a prendere in auto da Mapuordit.
Approfitto del pomeriggio per andare a visitare e conoscere il vescovo, mons. Cesare Mazzolari, comboniano, con un cognome che è proprio un bel programma. Mi accoglie in modo caloroso, gentile e, oserei dire, confidenziale. Mi chiede cosa sono venuto a fare e cosa potrei fare e mi racconta qualcosa della diocesi e della comunità di Mapuordit.
Serata in comunità con gli altri volontari di mezzo mondo che alloggiano lì e lavorano in ospedali e scuole. Mancano luce e acqua da qualche giorno. Niente doccia, cena a lume di lampada a petrolio e torce elettriche e a nanna.
La mattina dopo, all’aeroporto, in attesa dell’arrivo di un medico slovacco, altro volontario, che verrà anche lui a Mapuordit, incontro nuovamente il vescovo, con padre Daniele, e qui si familiarizza veramente. Tra l’altro abbiamo conoscenze comuni, come mons. Bertin, vescovo di Gibuti.

Il viaggio da Rumbek a Mapuordit serve per entrare subito nell’atmosfera: strade in terra battuta, sconnesse, piene delle buche della stagione delle piogge appena finita; mandrie di vacche e capre che attraversano all’improvviso, qualche motorino che viaggia ai limiti della velocità e della sicurezza, bambini nudi che salutano, gente che cammina, come nel Sahel, lungo la strada, per chilometri. Si incrocia solo qualche altro fuoristrada, ovviamente quasi tutti Toyota Hilux o Land Cruiser, cabinati o pick-up.

Circa un’ora e mezza per i primi cinquanta chilometri, fino ad Akot, dove si gira, entrando nella savana, per fare gli ultimi trenta chilometri di pista ai limiti delle possibilità dei mezzi. La mattina, venendo a Rumbek, padre Daniele ha dovuto aiutare due auto che si erano bloccate in “pozzanghere” profonde oltre mezzo metro… Il nostro autista è bravissimo e, nonostante i dieci passeggeri e i bagagli, riesce ad evitare di farci spingere…
In un’altra ora e mezzo si arriva nel “centro” di Mapuordit. La comunità è poco distante. Finalmente una doccia, poi cena e riposo. Domani è un altro giorno.

domenica 3 ottobre 2010

L'antefatto

Conosco da qualche anno padre Lorenzo, comboniano di vocazione tardiva, ex-consigliere comunale PD nel nord, che vive nella Repubblica Centrafricana e dopo le esperienze africane degli anni passati e quella di gennaio in Camerun, gli offro la mia disponibilità a lavorare tre mesi da lui, ma l’organizzazione del viaggio tarda. Incontro, in primavera ad Assisi, in occasione della Marcia della Pace, un altro comboniano, padre Alex Zanotelli, famosissimo per i suoi scritti, le sue testimonianze e le sue battaglie, che mi dice di rivolgermi alla curia generalizia. Insomma, san Daniele Comboni mi sta mettendo i bastoni tra le ruote…

Vagando per Facebook, conosco Giovanni che mi propone la condivisione di “amicizie” interessanti per le mie idee e per quanto scrivo appunto su Facebook. Tra queste, Giovanni mi indica un tale Daniele Moschetti, che non so assolutamente chi sia… Dopo un paio di giorni Daniele mi chiede direttamente la condivisione dell’”amicizia”… allora gli chiedo chi sia, e cosa pensa ci possa essere in comune.
Mi risponde dicendomi che è un padre comboniano, che vive nel Sud Sudan e che è stato fino a poco tempo fa in quel di Korogocho, la baraccopoli di Nairobi (Kenya) resa famosa da padre Alex.
Sia mai che mi perdo quest’occasione! Due o tre anni fa avevo avuto la possibilità di andare in Sud Sudan a dirigere una casa per handicappati, ma avevo dovuto rinunciare per impegni precedenti… Gli scrivo, gli mando un “curriculum”, gli offro la mia disponibilità per tre mesi, da gennaio a marzo 2011, quando sarò andato in pensione… Dopo qualche tempo mi fa sapere che è interessato ad un serie innumerevole di cose, per cui accetta di farmi andare, ma da ottobre a dicembre, a causa dell’incipiente referendum per la separazione definitiva tra nord e sud.
Affare fatto! Ho un contratto che scade il 30 giugno, quindi lavoro fino al 30 settembre e parto dopo la festa di san Francesco.

E pensare che qualcuno ogni tanto mi parla dei pericoli nell’uso di Internet, di Facebook e dei “social networks”…