Progetto INFORMAFRICA


Ridurre il "digital divide" portando la nostra CONOSCENZA
in modo ETICO e RESPONSABILE, ma non i nostri "modelli di vita"

domenica 25 gennaio 2015

Riflessioni nel week-end



Il tempo

... non quello che farà se Dio vorrà, a prescindere dai meteorologi, ma quello cronologico, quello che non si ferma mai, nemmeno a spingerlo tutti insieme...
In Occidente siamo malati di fretta, la premura di raggiungere qualcosa, di fare per avere, o anche solo per dire che siamo “impegnati” (o anche solo dimostrarlo, visto che la nostra società è quella dell'apparire e dell'avere).
La società consumista e tecnologica ci costringe a correre, non solo fisicamente, anzi quello del “jogging” è altro tempo richiesto dalla “società”, ma soprattutto mentalmente. Non abbiamo mai tempo per pensare, riflettere, cercare di scoprire ciò che ci circonda o anche solo per sedersi ad ascoltare un brano della musica preferita o a leggere un libro magari fuori moda. Non abbiamo più tempo per noi. Figuriamoci per gli altri.
Così non siamo ma pensiamo di essere costretti a lasciare i nostri “vecchi” nelle case di riposo, lasciare i nostri figli ai nonni (finché ci sono) rinunciando spesso alla funzione educativa di genitori, a lasciare gli ammalati negli ospedali, e, soprattutto, non viviamo. E ce ne lamentiamo.
Il tempo africano è lo stesso di quello dei nostri nonni: ha lo stesso valore intrinseco, fondamentale: le stagioni scorrono secondo natura, si mangiano i prodotti che la terra e la natura ci danno al momento in cui viviamo. Non si corre mai (se non in auto o sui bus di linea). Se si può fare una cosa oggi, la si fa, altrimenti sarà per domani. Ma come si fa a vivere bene, con gli agi, con tutte le “cose tecnologiche” che abbiamo in occidente? Come si fa a far vivere bene i nostri figli (scuola, tennis, chitarra, teatro, danza)? Rinuncia.
E' questa la parola che abbiamo cancellato dal nostro vocabolario?


Pecore e pastori

Già ne ho parlato lo scorso anno, ma vale la pena di ricordare, riflettere e cercare di andare a dialogare con i nostri amatissimi vescovi “romani”.
Sono qui in Uganda per fare due cose: preparare nuovi docenti per la scuola tecnica di Kasaala, preparata lo scorso anno, che ora riceverà anche i pannelli solari, e per preparare la nuova scuola di Ngetta, nella diocesi di Lira. Che c'entra la diocesi con la scuola? Nulla, ma c'entra, eccome se c'entra, direbbe Totò...
Giovedì mando una email alla scuola per salutare e chiedere i riferimenti di due vescovi che voglio andare a trovare alla fine della missione, ma anche per dire che nel week-end chiamerò il vescovo di Lira per salutarlo.
Venerdì a pranzo sono solo. Alla fine del primo arriva inatteso padre Giorgio: “C'è qui il vescovo di Lira che ti vuole salutare!”... Ogni commento è inutile.
Saluti tra vecchi amici, si finisce il pranzo tutti insieme. Poi il vescovo mi dice: “Io ho la macchina con ancora spazio sufficiente... potrei portare io i PC per la scuola...”. Affare fatto. Così potrò viaggiare con i mezzi pubblici senza bisogno che mi vengano a prendere dalla scuola a metà febbraio. Si sente la “puzza di pecora”.

L'Italia vista da lontano

Si parlava del padre Fulvio Cristoforetti... anche Samantha ha lo stesso cognome... come non pensare a lei che sta girandoci intorno, prendendoci letteralmente in giro... da lassù, come da quaggiù, dall'Uganda, l'Italia è “infinitamente piccola”, come il san Francesco di Martin Bobin (scrittore) e di Angelo Branduardi (musicista) nella sua umiltà...
L'Italia invece non è umile. Per niente. Il consumismo, la finanza creativa, il capitalismo finanziario l'hanno rovinata, economicamente, politicamente, ma anche moralmente. Abbiamo qualche grande eccellenza, a livello umanistico e scientifico, ma abbiamo tanto da ripulire ovunque! A partire da  noi stessi, dalle nostre menti malate di successo e di fretta e di bisogni, dai nostri cuori che non vedono più il prossimo, o lo vedono come un nemico che ci vuole aggredire e derubare (soprattutto questo)... ma nel contempo abbiamo lasciato il nostro “bel Paese” in mano ai nostri “padrini”, ai nostri soci in malaffare, a coloro che ci avrebbero aiutati nel nostro orticello.
Che facciamo? Vogliamo deciderci a cambiare pagina? O lasciamo che questi “sciacalli”, - così li definì Sandro Pertini dicendo ad Ugo La Malfa in punto di morte: “Ci lasci soli (lui, Berlinguer e Moro, ndr) con questi sciacalli?”, - lasciamo che finiscano di svendere il nostro Paese, con il suo 65% di beni culturali del mondo, per trenta denari?
Speriamo in un grande scrollone alla sporcizia ed in una iniezione di fiducia nel futuro da parte del prossimo Presidente della Repubblica.
Che sia persona colta e umanamente e moralmente ineccepibile. Speriamo.


giovedì 22 gennaio 2015

Kampala e Kiwoto



Nel fine settimana, per tre giorni, pranzo da solo: i padri sono in giro per le messe e per altri impegni esterni: finalmente riesco a mangiare poco! Ma la domenica sera la cuoca mi prepara le patatine chips... dopo quasi una settimana di “calma” per stomaco e fegato.

Settimana impegnativa questa: lunedì corsa a Kampala per acquistare il proiettore per la scuola di Ngetta, un monitor per la parrocchia di Kasaala, qualche coltello per il refettorio, pane, pasta, sale e Bibbie; da domani il nuovo corso.

Kampala. Partenza alle 5 per fare 80 km di strada ottima, che alle 6.30 esplode come la Milano-Bergamo: meglio evitare, si potrebbero perdere almeno due ore a Gaissa, l'ultimo paese prima di Kampala: fanno il mercato lungo la strada nazionale... Alle 6.15 siamo dai Comboniani di M'Buya, dove si va a messa, si fa colazione, si parla, e poi si parte per il giro delle spese. Padre Giorgio ha organizzato il giro che non si sprecano nemmeno cento metri di strada, e troviamo, grazie alla mia proverbiale fortuna (in questo specifico settore!), anche il parcheggio di fronte al negozio indiano che vende prodotti informatici.

Se tra le 6 e le 6.30 abbiamo evitato gli ingorghi, devo dire che siamo stati fortunati anche dopo: normalmente, dopo le 10, Kampala è una città impraticabile, vi regnano caos ed anarchia totali. Strade larghe occupate per la metà dai “matato”, taxi da 15 posti che si usano al posto degli autobus urbani che ancora non ci sono, gente che cammina a piedi o con il carretto sulle corsie stradali, biciclette con caricati di traverso assi di legno o quant'altro lunghi due metri, in modo che diventano larghi come un bus, ma ci viaggia una persona sola. A completare il quadro, i boda-boda (mototaxi) con le solite tre o quattro persone che sfrecciano da tutte le parti rischiando la vita di tutti (loro) e le carrozzerie delle auto, compresa la tua. Come me, padre Giorgio è ormai allergico alla città: alle 11 abbiamo già finito il giro; quello che manca, fotocopie e adattatori elettrici li possiamo trovare a  Luweero; partenza immediata. Alle 12.15 siamo a Luweero. Alle 13 a tavola.
E io che credevo che alla mia età certe cose non si dovessero più fare... e padre Giorgio ne ha qualcuno più di me!

Pomeriggio di riposo e rifinitura del corso che inizia domani.
Ma “domani” alle 9 va via la corrente per un'oretta... cominciamo proprio male! Per fortuna dura poco e si può iniziare con proiettore e notebook.
Il secondo giorno è peggio.
Iniziamo con cielo nuvolo e una spruzzata di pioggia di primo mattino: ma come! Alla fine di gennaio qui non deve piovere! Passa subito.
La corrente va via alle 9 e non ritorna più... Cinque ore di lezione, tra mattina e pomeriggio, spiegando solo a voce, in piedi, senza altro che una buona memoria e niente audiovisivi... I ragazzi resistono anche a questo sforzo, forse perché hanno già pagato il 50% del costo del corso. E pensare che due sere fa, parlando con il giovane padre James, ordinato a maggio dello scorso anno, avevamo detto che per ora la corrente elettrica (Umeme = Enel locale) ci aveva graziati... Mai parlare per niente!
Alla fine della lezione pomeridiana padre Giorgio mi dice che deve andare a portare una giovane donna, sorella della nostra cuoca, in un ospedale a 20 km. Ha un tumore al seno e sta male. “Ti accompagno”.
Era molto che non tornavo nel “bush” (savana), che non facevo un po' di strada sterrata, che non respiravo la polvere rossa sottilissima che si trova da queste parti: ad ogni incrocio con gli altri veicoli si chiudono I finestrini, che subito si riaprono in attesa dell'incrocio con il prossimo veicolo. E I bimbi che fanno “bye, bye!” con le manine al passaggio dell'auto dei bianchi...

Passiamo davanti alla cappella e all'asilo costruiti dagli amici di padre Fulvio Cristoforetti, morto durante la guerra, una ventina di anni fa. Ferito dai ribelli mentre andava per le chiese lontane, trasportato a Kampala, nell'ospedale di Nsambia, gli effettuano una trasfusione di sangue infetto: muore di AIDS qualche mese dopo. Non si sapeva ancora come curarlo.

Kiwoko. Ospedale di una chiesa protestante irlandese: medici e infermieri devono essere della loro “chiesa”, ma almeno pare che siano bravi medici ed il livello della struttura molto buono. L'impressione all'arrivo corrisponde.
Finito il trasporto della giovane ammalata, attraversiamo la cittadina, più piccola di Luweero e torniamo a casa per la cena: finalmente, torna la corrente elettrica!



venerdì 16 gennaio 2015

La dieta “papapa”



E' trascorsa ormai quasi una settimana dall'arrivo a Kampala e mi sono adeguato ai nuovi ritmi. Ho avuto bisogno del venerdì, del sabato e della domenica per riuscire a far pari con la stanchezza del viaggio e dei due giorni senza dormire: sarà l'età? Mah... Vedremo cosa ne pensano gli amici diversamente giovani come me.

Qui era, come sempre, tutto organizzato e puntuale: padre Giorgio, come mi ha detto stamattina il ragazzo del mototaxi che mi ha riportato a casa da alcune commissioni, “fa la differenza a Kasaala!”. Giustissimo!
Nei primi due giorni sono riuscito anche a chiudere le pendenze con Radio Incontri, a cui dovevo le registrazioni di due trasmissioni, a scrivere la prima “nota di viaggio”, qualche commento su Facebook, ed anche a rileggermi un libro bellissimo, che ho voluto portarmi dietro dopo aver visto i fatti di Parigi: “L'altro” di Ryszard Kapuscinski. Costa 5 euro (Univ. Econ. Feltrinelli, Saggi) ma ne vale infinitamente di più, almeno per chi è interessato a sapere chi è “l'altro”. E' come ripassare una lezione di sociologia, mentre si entra in un ambiente in cui “l'altro” sono io... niente male! E dopo i fatti di Parigi, una piccola meditazione sulla materia può essere utile soprattutto a noi “bianchi occidentali”.

La cucina è la stessa dello scorso anno: le cuoche sono sempre Grace e Christine, i pasti anche e la dieta è sempre quella “papapa”, come l'ho ribattezzata quest'anno... “pasta, patate e papaya”!
In realtà si mangia molto di più e la papaya sta cominciando a maturare ora, come le banane: quelle piccole, specialissime, ancora non ci sono, ma arriveranno.
Stasera, per esempio, il menu ci ha riservato: pannocchia di mais bianco cotta, minestra, frittata, patatine fritte tipo chips, fagioli, ananas... mi sa che torno che peso come le valigie che ho portato piene di computer!

Il cane che lo scorso anno aveva cominciato ad accettarmi solo negli ultimi giorni è invecchiato: mi passa a fianco e nemmeno mi saluta... invece i gatti mi vengono ad accompagnare anche qui...

Ma il bello è la gente. Alunni dello scorso anno che ora insegnano o che hanno continuato a fare il loro lavoro, o che stanno continuando a studiare, tutti che mi salutano ringraziandomi di essere tornato, come dicevo già nella scorsa “nota”. Con gli insegnanti che hanno tenuto i primi corsi stiamo organizzando quelli che cominceranno la prossima settimana e faccio loro delle lezioni supplementari, di aggiornamento, di ripresa dei programmi, di conoscenza di nuovo software e qualche consiglio da “veterano”.
Si sono fatti un manuale per far seguire meglio le diapositive agli alunni: salvo qualche errore di inglese devo dire che hanno fatto un lavoro molto bello e completo. Mi hanno stupito alcune considerazioni sociologiche sull'ingresso dei computer nella vita del lavoro e sui cambiamenti che questo porterà. Veramente bravissimi!

Come da progetto, prevedo di tenere qui due corsi di primo livello, uno per i privati ed uno per gli insegnanti della scuola tecnica che desiderano aggiornarsi per insegnare anche informatica e soprattutto l'informatica applicata alle loro materie. Nel primo proverò a far fare qualcosa agli insegnanti che già operano, per “testarli” un po'.

Per finire, un sorriso. Ieri mi sono reso conto che nell'aula ci sono 12 sedie ma solo tre tavoli, invece di quattro che avevamo progettato: quando ho consegnato l'aula, a marzo 2014, effettivamente uno doveva essere ancora fatto per mancanza di tempo. Chiedo al falegname come mai ancora non c'è. “Sì, mi aveva suggerito di farlo, ma non ho avuto tempo!”. “A dire la verità glielo abbiamo anche pagato, più che 'suggerito'; per la prossima settimana ci deve essere!”. “Certamente!”... sapendo di mentire, perché la sua “prossima settimana” sarà, forse, fra un mese... African time!






sabato 10 gennaio 2015

Africa, di nuovo Africa, finalmente Africa!


Sono passati nove mesi dal rientro dallo scorso viaggio in Uganda. Era circa metà marzo. Nove mesi in Italia, con la vita frenetica, i problemi di ognuno, la crisi economica, ma anche e soprattutto etica e morale. Abbastanza per dire “finalmente me ne vado”? No, sicuramente no! L'Italia, la Toscana in particolare, sono bellissime, troppo per poterlo dire, ma è il “contenuto” che spinge via...

Mal d'Africa... forse, non posso immaginare di essere “malato” perché sto tanto bene, grazie a Dio anche fisicamente, ma quando sono in partenza per l'Africa... sto meglio!

Tutto bene nei preparativi. Valigie a posto. Notebook per la nuova aula di informatica a posto, grazie ai giovani amici del “Centro Giovani Vintola” di Bolzano: mi hanno già procurato una cinquantina di notebook per le mie aule! Bravissimi!
E poi, per ringraziare giustamente chi sostiene il “Progetto Informafrica”: grazie agli “Informatici Senza Frontiere” che finanziano viaggio, visti e proiettore; grazie ad “Economia Alternativa”, l’associazione che ha comprato i pannelli solari per alimentare l’aula di Kasaala; grazie anche e soprattutto ai Padri Comboniani che hanno fatto nascere in Africa più scuole e centri di formazione di chiunque altro. Ora stanno cercando di migliorarle e renderle tecnologicamente avanzate, promuovendo queste aule e la formazione di giovani insegnanti adeguati alle nuove esigenze, ottenendo che i giovani crescano con le giuste conoscenze per il loro ingresso nel mondo del lavoro.

Il viaggio.
Arrivo all'imbarco tranquillo dopo un “check-in” veloce e senza problemi nonostante i superpesi dei bagagli. Mi chiamano perché i controlli non “capiscono” cosa c'è in una valigia (nell'altra sì... mah!): devo andarla a riaprire per far vedere i cinque notebook uno sull'altro... calma e gesso...
Aerei sempre più stretti... che fortuna essere piccolo! Non riesco a dormire nemmeno un minuto. Almeno il cibo è buono e il vicino di posto molto gentile.
Arrivo regolare, alle tre e mezzo del mattino. In dogana vogliono aprire anche loro le valigie, ma tutte e due: nemmeno i loro controlli “capiscono”... Apro la piccola con “soli 5 notebook” e nasce il problema, avendo dichiarato, ovviamente, che anche nell'altra ci sono dei computer. I computer usati non si possono importare in Uganda... (non si può tassare l'importazione di materiali usati!)... Rispondo gentilmente chiedendo cosa devo fare: non è permesso portarli, nemmeno per le scuole? Sempre gentilmente chiedo se devo buttarli via dentro la dogana o fuori... Davanti a questo dilemma, a cui la legge non ha provveduto a rispondere in anticipo, il funzionario capisce la sua impossibilità a proseguire il discorso e mi lascia passare: gli prometto che il prossimo anno non lo farò più... sapendo di mentire, perché il prossimo anno gli porrò lo stesso quesito, che è lo stesso dello scorso anno...

Mi viene in mente la legge italiana contro l'evasione fiscale: tutti i fornitori di servizi e merci devono consentire il pagamento con il POS oltre i 30 euro... ma nessuna sanzione è prevista se non ci si attrezza! La legge è in vigore dal 01/06/2014. L'evasione continua grazie ad una legge viziata volutamente alla base, per far credere al “popolo pecora” che ci sia la lotta all'evasione fiscale ma senza danneggiare minimamente però gli evasori.
Viva l'Italia... l'Italia che non muore... nonostante tutto e tutti (gli italiani)! … e viva anche l’Uganda!...

Fuori dall'aeroporto l'accoglienza del tassista di fiducia dei Padri Comboniani che mi porta direttamente a Kasaala. Si arriva alle sette, giusto in tempo per andare alla Messa, in ringraziamento per il viaggio, per essere qui, per ritrovare la semplicità della gente che con niente è contenta e che ti abbraccia per dirti grazie di essere tornato e non esserti dimenticato di loro.