Progetto INFORMAFRICA


Ridurre il "digital divide" portando la nostra CONOSCENZA
in modo ETICO e RESPONSABILE, ma non i nostri "modelli di vita"

venerdì 28 febbraio 2020

20.01 – Buon Anno e buon Decennio!




Si diceva una volta, ma forse vale ancora: “Anno nuovo, vita nuova!”…

Sarà vero? Staremo a vedere…

Certo che l’inizio di un nuovo decennio dovrebbe farci riflettere almeno un momento sul passato, magari sul decennio appena finito, e darci la capacità di fare un bilancio su quanto fatto, tralasciato di fare e sbagliato, non solo personalmente, verso se stessi, ma anche e soprattutto nei confronti del mondo che ci circonda: persone, famiglia, lavoro, attività varie, società civile e, prima di ogni altro, per l’ambiente in cui ci accingiamo a sopravvivere per un non meglio precisato periodo.

Sì, un piccolo, o forse grande esame di coscienza sui nostri comportamenti, alla fine dell’anno e del decennio sarebbe molto utile ed interessante e proficuo per noi stessi e per chi ci sta vicino o anche lontano, soprattutto se parliamo di “ambiente vitale”.



Il mio decennio è iniziato all’insegna del movimento…

Ancor prima di finire di bere lo spumante augurale del Capodanno, partenza per la mia “residenza invernale”, l’Africa equatoriale, l’Uganda… E qui, dopo il weekend di arrivo ed acclimatamento, si comincia a riprendere la vita normale dei contatti, degli incontri con le tante persone che chiedono... con le tante persone che cercano di collaborare all’aiuto che si cerca di dare… e con tutte quelle persone che ti chiamano per salutarti, ringraziarti di essere tornato, e alla fine ti chiedono di essere invitate una volta a pranzo… e qui, alla risposta, sincera e affettuosa: “oggi… non hai da mangiare per te e i bambini!”… “Scusami… no!”… e ti viene voglia di saltare pranzo e cena… e mandi subito il necessario per comprare riso e “matoke” per tre giorni…



E qui comincio volentieri una piccola riflessione sull’ “aiuto”, “help”… La frase ricorrente che sento è “Grazie per l’aiuto che mi dai/date!”…

Da un po’ di tempo ci penso e mi vergogno… non vorrei sentirmi ringraziare da chi sta peggio per il minimo aiuto che posso contribuire a dare…

Ho trovato una quasi soluzione… “Io non ti aiuto, Noi collaboriamo perché tu e i tuoi figli riusciate a risolvere il problema di trovarti un lavoro e guadagnare quanto ti serve per non farli morire di fame, prima, e perché abbiano una buona istruzione poi…”. La tua collaborazione però, comincia dalle tue piccole rinunce, dai capelli allo smartphone… Come se fosse facile dirlo ad una ragazza di 22/28 anni che non ha un marito, ma ne ha i frutti che lui non ha mai pensato di volere, tanto meno al momento opportuno…



Ecco… questa è la vita di tutti i giorni, mesi, anni, decenni…

Una volta, mi inviti a pranzo?”…



Buon Anno e Buon Decennio… anche a coloro che pranzano senza pensare!





R I C O R D A T E !!!

Il 20 settembre, è uscito “La Grotta della Pace”, un romanzo per ragazzi (9-16 anni) a firma di Roberto Morgese e mia, ambientato durante la guerra civile in Sud Sudan, conclusasi almeno nominalmente, alla scorsa Pasqua. Editore “Ediz. Messaggero Padova”. Costo euro 16,50.

Prenotatelo da noi: ve lo spediremo senza ulteriori spese, direttamente, a maggior vantaggio della Fondazione. Ogni rimborso delle spese sarà ovviamente gradito e devoluto a copertura della spedizione.

IL RICAVATO SARA’ COMPLETAMENTE DEVOLUTO ALLA
FONDAZIONE BRIDGET EVALYNE”

Attraverso i soliti canali IBAN (causale “Grotta della Pace”)
Paolo MERLO IT47N 06175 14110 000009 206470
BOZEN SOLIDALE IT77N 08081 11610 000306 006043


4 – Finale con il “botto”...


 

La settimana centrale del nostro viaggio attraverso l’Uganda “informatizzata” da me e con il sogno di tanti bambini a scuola invece che per strada o per le campagne, è piuttosto tranquilla, almeno finché si viaggia da Kampala a Kasaala ed a Kalongo. Inutile parlare delle accoglienze in ogni posto!
Un ricordo particolare alla scuola secondaria di Kasaala, il “St. Daniele Comboni College” da me informatizzato e che ora ospita come studente (bravissima anche se in ritardo!) la nostra Jemma.

A Kalongo siamo accolti addirittura al bus da tutti gli allievi dello scorso anno, di Nicole e miei, e con cui ci incontreremo l’indomani.
Jemma organizza il programma, che prevede anche una notte nel villaggio di sua sorella ed una breve puntata alla tomba dei suoi genitori.
Inutile dire che le sorelle, i figli di Jemma, e tutti gli altri bambini ci accolgono nel villaggio degli “hat” (i cosiddetti “tucul”) con il cappello di paglia e i muri di fango, con una accoglienza strepitosa. Jemma ci prepara per la cena una pentola di spaghetti al sugo, che ci vengono serviti intorno al fuoco (al villaggio non c’è la luce e nemmeno i bagni), in un piatto e le scuse perché non ci sono forchette: ci si lavano le mani e si usano quelle…
Dopo una serata di parole intorno al fuoco, si va a nanna presto e ci si sveglierà prestissimo…

Si deve andare alla tomba dei genitori di Jemma e poi rientrare a Kalongo. Giro non da poco con le strade disastrate e la mancanza di trasporti…
Con un po’ di fatica, qualche corsa in moto in tre per moto, una lunga attesa in un villaggio dove solo una signora è disposta a farci un pollo arrosto e un po’ di riso, e dove padre Ramon arriva con tre ore di ritardo a prelevarci per riportarci alla magione, riusciamo a tornare a Kalongo per pernottare dagli amici comboniani e da cui ripartiremo la mattina dopo alle 4.00 per andare a 150 km di distanza, a Gulu, a prendere la “coincidenza” per Moyo che parte alle 13. E su questi numeri ogni commento sarebbe superfluo, se non succedesse che dopo mezz’ora di viaggio, ancora notte fonda, rimaniamo bloccati dal fango per quasi due ore! Ovviamente dopo si viaggia con prudenza eccessiva, che sbocca in una sosta in piena campagna, tra Kitgum e Gulu, per la fine del carburante, da me preventivata poco dopo la ripartenza dal fango…
Arriviamo alla “coincidenza” praticamente sul filo di lana! Scendiamo dal primo bus per salire sul secondo, che ci porterà a Moyo in circa sei ore, ma con il fatidico ferry-boat sul Nilo… Dopo oltre quattordici ore di viaggio riusciamo a raggiungere la nostra meta imperturbabili, distrutti e maleodoranti. Salutiamo gli ospiti e andiamo a lavarci, riposare e prepararci per una meritata cena!
La domenica, finalmente, e siamo tutti d’accordo, si riposa!!! Lunedì avremo un’altra giornata di emozioni e fatiche: il trasferimento a Palorinya, circa 40 chilometri, per andare a visitare il “campo profughi” in cui vivono 200.000 sud-sudanesi scappati dalla guerra civile… Tra questi, alcuni miei amici con cui avevo lavorato o che avevo istruito in informatica, nella zona di confine, nel 2012, quindi sette anni fa!

Lunedi mattina il buon fratel Erich, altoatesino di cittadinanza germanica, con cui mi guardo bene dal parlare tedesco, ci viene a prendere a Moyo e ci porta fino al Centro Comboniano in pieno “campo profughi”. Veniamo rifocillati dal breve viaggio e padre Jesus, altro Comboniano con cui ci si conosce da vario tempo e varie esperienze, ci porta a fare un primo giro nei dintorni, tra le “quasi-parrocchiette” vicine al centro e ci racconta ciò che i comboniani stanno facendo per assistere la popolazione cattolica proveniente dal paese vicino, ma che non ha bisogni impellenti di assistenza: non hanno attraversato il Mediterraneo, ma solo un finto confine tra due paesi cosiddetti amici e che hanno interessi reciproci in entrambi…
Dopo un allegro e buon pranzo in compagnia, Fratel Erich ci riprende in custodia e ci fa fare un lungo giro tra le campagne, aride, ma non troppo ingiallite dal caldo. Qua piove spesso, tra le piccole casette, gli orti, la biancheria stesa e i piccoli “shop” famigliari in cui ognuno vende ciò che produce come piccolo surplus dal suo orticello, proprio per controbilanciare qualche piccola necessità diversa. Per altre spese i rifugiati si sono organizzati in un piccolo “centro commerciale” in cui fanno arrivare da Moyo o da Gulu ciò che altrimenti qui non si troverebbe.

La soluzione ugandese per i rifugiati sud-sudanesi mi sembra alquanto logica, anche se avvallata da una situazione di “guerra pacifica” tra i capi delle due nazioni, amici-nemici che si guardano in cagnesco, ma per coprire i loro affari, raramente puliti, si controllano a vicenda. Ovviamente per il Sud Sudan la cosa è più difficile, ma uno sgambetto ogni tanto lo si fa…
La soluzione per i rifugiati è stata anche semplice, visto che è a pochissimi chilometri dal confine tra i due Paesi: se succede qualcosa, basta inviare qualche centinaio di soldati e rimandare indietro tutti in meno di 24 ore!
Così sono tutti tranquilli. Lavorano, hanno una piccola casa, coltivano per se e per vendere qualcosa, si sono fatti scuole e chiese ed hanno, dalla società internazionale anche un piccolo ospedale da campo ogni 50.000 rifugiati.
Il primo paese vicino è Moyo, come detto a circa 40 chilometri, le strade sono pessime e ci arrivano solo poche auto fuoristrada… Per scappare dovrebbero attraversare il Nilo, o andare in direzione Congo… Verso il Sud Sudan i soldati presidiano serenamente ogni centimetro di confine.
Accettare l’altro significa per l’Uganda, paese molto vasto ed a bassissima intensità abitativa, dare lavoro a gente che nemmeno lo cerca, ma che è obbligata ad averlo, ed importare manodopera dall’estero in contrappeso alla massiccia presenza militare ugandese in diversi paesi africani.
Alla fine si può dire che, tra ugandesi e sud-sudanesi, la situazione sembra molto tranquilla e pacifica, nonostante i numeri siano veramente grandi.

Il “botto”? Beh… la visita ad un campo profughi di 200.000 persone, in Africa, gestito con il “cuore generoso delle persone per altre persone”, agli occhi di cittadini come noi, la cui “società” appoggia i respingimenti, “chiede e non chiude” i lager, mi sembra una bella lezione!

Il nostro viaggio in giro per l’Uganda finisce qui, salvo ritorno a Kampala, e partenza, prima della quale incontreremo ancora una volta Jackie e Richard, i genitori di Bridget Evalyne, per un riassunto del viaggio e degli incontri avuti.

Io proseguo il lavoro qui ancora per un paio di settimane. A metà settembre mi trasferirò per circa un mese in un villaggio sperduto al nord dell’Altopiano Etiopico, Gilgel Beles, dove, con Fabrizio Dainelli, collega toscano di Informatici Senza Frontiere, faremo un corso di informatica ad un gruppo di giovani che dovrebbero attivare una “scuola di informatica” nel centro giovanile della parrocchia comboniana.




R I C O R D A T E !!!

Il 20 settembre, è uscito “La Grotta della Pace”, un romanzo per ragazzi (9-16 anni) a firma di Roberto Morgese e mia, ambientato durante la guerra civile in Sud Sudan, conclusasi almeno nominalmente, alla scorsa Pasqua. Editore “Ediz. Messaggero Padova”. Costo euro 16,50.

Prenotatelo da noi: ve lo spediremo senza ulteriori spese, direttamente, a maggior vantaggio della Fondazione. Ogni rimborso delle spese sarà ovviamente gradito e devoluto a copertura della spedizione.

IL RICAVATO SARA’ COMPLETAMENTE DEVOLUTO ALLA
FONDAZIONE BRIDGET EVALYNE”

Attraverso i soliti canali IBAN (causale “Grotta della Pace”)
Paolo MERLO IT47N 06175 14110 000009 206470
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