Progetto INFORMAFRICA


Ridurre il "digital divide" portando la nostra CONOSCENZA
in modo ETICO e RESPONSABILE, ma non i nostri "modelli di vita"

sabato 20 febbraio 2016

8 – La partenza, le promesse, i sogni…



Dopo un week end in totale relax ed avendo anche ripreso appetito e voglia di muovermi, lunedì e martedì li dedico a qualche passeggiata nell’inferno della capitale: traffico convulso e totalmente disordinato che mi ricorda gli anni ’60 e ’70 nelle nostre città… gas di scarico, sirene di auto “ufficiali” seguite da quelli più furbi che si accodano, motorini (i famosissimi “boda-boda”) che guizzano tra le auto, come a Roma gli scooter, pedoni che rischiano la vita ad ogni attraversamento, marciapiedi assenti e polizia che, quando c’è, blocca automaticamente il traffico: ho visto tre poliziotti su un incrocio fischiare contemporaneamente per dare direttive diverse… Il passaggio dei “cortei ufficiali” con polizia ed esercito davanti, dietro e di fianco, contribuiscono al caos totale…

Passando nella zona del mercato di vedono molti giovani con in mano pacchi di sterline sud-sudanesi pronti a cambiarle a qualsiasi cifra… Stamattina il cambio è oltre 32 sterline per un dollaro… come avevo scritto in un’altra “nota”, all’arrivo a gennaio il cambio era a 22: una svalutazione del 30% in un mese e mezzo… ovviamente o si hanno i soldi o non si compra nulla, men che meno da mangiare!

Per quanto concerne la situazione politica, è in movimento, ma non si sa bene per dove… Giovedì scorso il presidente Salva Kiir ha firmato il “decreto” che rinomina il vice-presidente nella persona di Riak Machar e, come secondo vice-presidente, un altro elemento dell’opposizione, James Igga.
Tra sabato e domenica è arrivata la risposta, positiva, di Riak Machar, che, al momento, si trova in Sudan, ma insieme alla nota positiva ce n’è subito una negativa: Machar non rientrerà a Juba finché il presidente non farà sgombrare Juba da buona parte dell’esercito (quella, beninteso, fedele al presidente Salva Kiir). In effetti una parte dell’esercito si è ritirata fuori Juba di circa 20/25 chilometri… ossia, come prendersi per i fondelli reciprocamente… D’altra parte Machar non vuole essere assassinato e si porta i suoi soldati, che lo difenderanno dagli avversari politici… Intanto Machar va in visita a Pretoria, aspettando gli eventi…
Martedì un altro colpo di scena. Salva Kiir, come un buontempone qualsiasi, minaccia Riak Machar di ritirare il decreto della nomina, se non si presenterà entro giovedì a Juba per la formazione del nuovo governo…
Direi che così non va proprio bene. Gli alti e bassi della tensione sono molto forti e sembrano destinati a non finire, ma anzi, a sostenere l’ipotesi di una resa dei conti “finale” entro pochi giorni…

Juba è veramente un mezzo inferno… Non c’è una centrale elettrica realmente funzionante ed ogni struttura, azienda, albergo, edificio commerciale, hanno i loro generatori, che vengono messi in funzione alla sera, quando i pochi pannelli solari esistenti non caricano più, ma i frigoriferi e i condizionatori vanno a pieno regime: i generatori vanno a gasolio: si può immaginare facilmente il livello di inquinamento che si raggiunge! In più, per ottenere record ancora migliori, in molte strade, di notte si bruciano i rifiuti urbani… dalla plastica, alle gomme ai rifiuti organici, e così via…
Sulla salute dei cittadini piovono fumo, ceneri, residui bruciati, e così via… Di notte bisogna alzarsi due o tre volti per bere e bagnarsi il naso riarso dai fumi tossici e non…
Il cielo di notte non fa vedere molte stelle… la mattina, fino alle 19 il sole fa fatica a far capolino tra le nuvole di fumo che coprono ancora la città…
Yirol era un paradiso, solo i camion vuoti verso Juba e pieni verso Rumbek… ma l’Africa è e rimane Africa… e non si può stare più di qualche mese senza tornare!



Intanto è stato approvato da Economia Alternativa il progetto per il “St. Daniele Comboni College” di Kasaala-Luweero; progetto per cui Informatici Senza Frontiere aveva procurato i pc. Se gli amici che mi leggono aiuteranno questo progetto (di cui avevo già parlato nella prima “nota di viaggio” di quest’anno), alla fine ci saranno anche i fondi per il viaggio, i visti e le varie piccole spese di permanenza! Così il prossimo anno avrò già un posto in cui andare…

Ultima “notizia”… Riprenderò queste “note di viaggio” a fine aprile dall’ospedale pediatrico di Kimbondo (Kinshasa, Repubblica Democratica del Congo), dove andrò a fare un corso sul foglio elettronico ai medici ed uno di prima alfabetizzazione informatica agli infermieri.

Grazie per l’attenzione che mi avete concesso finora e che vorrete concedermi in futuro, ed anche e soprattutto, per gli aiuti che vorrete far avere a me o alle associazioni che mi sostengono.

Buona Pasqua a tutti!



martedì 16 febbraio 2016

7 – Sì… ma l’Africa non usa l’orologio…




Gli esami sono finiti, i promossi sono contenti, gli altri un po’ meno… ma si sa che gli esami non finiscono mai… Mi stupisco ripensando agli insegnanti delle primarie, che non riescono ad aprire la loro mente a nuove conoscenze…

In realtà dovrei stupirmi del mio stupore… Come si può pensare che una persona che finisce un corso di studi, dal giorno dopo possa insegnare quelle materie che ha appena finito di “conoscere”, senza il benché minimo approfondimento? Ecco. L’informatica interessa a tutti perché ci si rende conto della velocità del suo sviluppo e della possibilità di aprirsi al mondo, ma nello stesso tempo si ha forse paura del mondo che ci può venire incontro e magari anche travolgerci… Fanno così anche gli struzzi…

Ripasso ancora per il centro di Yirol e, vedendo i pastori nella caratteristica casacca blu e le loro bellissime ragazze, ripenso al “cattle camp” e a Rebecca, una ragazza di 16 anni del campo che studia ed è già alla seconda superiore, e mi ha fatto un po’ da interprete mentre facevo le fotografie… Ma quanti giovani ci sono in questa zona! Vero che è difficile invecchiare, yista la malnutrizione e le malattie, ma se di bambini ce ne sono un’infinità è pur vero che anche i giovani, ragazzi e ragazze sono moltissimi. Una bella speranza per il nuovo Stato che si sta attrezzando per crescere!


Rebecca prepara la polenta

La notte dopo gli esami è stata quanto meno agitata… il calo di tensione mi ha provocato un paio di attacchi intestinali e di stomaco, che si sono poi ripetuti al mattino. Alle 8 padre Giovanni telefona all’”agenzia viaggi”, si fa per dire, per notizie sul volo che ho prenotato per oggi. Risposta: “venite in ufficio per comunicazioni”… Andiamo con le valigie pronte… Le “comunicazioni”? “Non sappiamo ancora nulla, vi chiamiamo noi verso le 12”… Alle 15,30 torniamo all’ufficio: “Penso che per le 15 dovrebbe arrivare l’aereo!”. Alla constatazione che sono passate da mezz’ora, l’impiegato risponde senza una piega: “allora o arriva più tardi o domani! Vi chiamo io!”… Torniamo in missione, tolgo il pc dalla borsa e mi preparo a fare qualcosa… Ho da mandare un articolo a Unimondo.org, ho da registrare l’editoriale per “Reflex”, il settimanale di Radio Incontri Cortona e da scrivere qualche nota come questa…

Ho appena acceso il pc che sento l’aereo atterrare… dall’altra parte padre Giovanni mi urla: “Se non sei pronto, perdi l’aereo!”.
Dopo dieci minuti siamo al campo di volo… Mentre corro verso l’aereo gli addetti mi prendono la valigetta rimanente, di tre con cui sono arrivato, e la imbarcano, mentre un altro mi fa salire in cabina di pilotaggio: “il tuo posto è a fianco del pilota!”… Mi viene da ridere…
Da giovane avevo pilotato il Piper-idrovolante sul lago di Como… ora, se ci fossero stati problemi avrei avuto la forza e il coraggio di prendere io in mano la cloche? Dieci minuti per rivedere i comandi e mi sento a casa... Se anche il primo pilota dovesse stare male… Per fortuna mia, del pilota e della quindicina di passeggeri, è andato tutto a regola…
Certo che da cinquanta anni a questa parte i comandi non sono cambiati molto, ma la strumentazione non finisce più!
Arrivo a Juba contento e felice del breve volo, ma non mi aspettavo di dover fare oltre un chilometro a piedi per arrivare all’uscita…
Quando arrivo alla casa dei Padri Comboniani mi rifocillo, doccia e cena. La camera mi sembra quella di un hotel a 12 stelle… altro che Grillo! Il letto mi aspetta poco: ci casco e dormo per dieci ore filate, fino a quando la sveglia non mi ci tira giù.

Quando sono arrivato a Juba, per prima cosa ho saputo della morte di un padre Comboniano sud-sudanese che conoscevo bene e che, un mese fa, avevo visto e salutato, ma mi era apparso in condizioni pessime… Venerdì trascorre nella scelta del posto per la tomba, in una delle prime missioni del Sud Sudan, a Rajaf, pochi chilometri da Juba, lungo il Nilo; poi l’arrivo della salma dall’ospedale di Gulu, in Uganda; i discorsi, i parenti, le urla, gli svenimenti, il folklore annesso alla cerimonia, il lato religioso, la preghiera e la veglia notturna accompagnata dalla musica religiosa locale, guidata dal tamburo; sabato mattina ultima benedizione, ultima preghiera, poi il funerale nella grande chiesa parrocchiale e al cimitero… Non partecipo, sono ancora stanco e con sintomi che ancora consigliano riposo e… vicinanza al bagno!

Dopo la partenza della salma per la cerimonia finale tutto si calma, tutto rimane per due giorni in silenzio e si può riposare e meditare tranquillamente. Per fortuna i Comboniani non hanno impegni di parrocchia!





sabato 13 febbraio 2016

6 – Il territorio e la sua vita



La scorsa domenica, al pomeriggio, padre Giuseppe Parladè, un anziano padre spagnolo, di Siviglia, mi invita ad accompagnarlo in un villaggio a circa 30 chilometri per farmi vedere dove lui vive buona parte della missione e un paio di chiese in villaggi sparsi.
La strada è sempre in mezzo alla savana, lasciando appena intravvedere le cime dei tetti di erba dei tucul, per il resto qualche capra, qualche persona che va a piedi portando legna o acqua o altro, con un andamento lento, dovuto anche al caldo, ma soprattutto alla convinzione che il tempo e la vita vanno avanti senza bisogno del nostro impegno assiduo e stressante per noi stessi.
Il primo villaggio è costituito da una ventina di capanne, una chiesetta, una piccola casa in muratura (una camera e niente più) per il padre e un servizio igienico esterno, sempre in muratura… Qui passa molte notti padre Giuseppe.
Il prossimo villaggio, Nyang, lo troviamo dopo aver superato un accampamento di soldati dove si vedono i cingolati passati al mattino, mentre Padre Giovanni celebrava la messa al villaggio dei lebbrosi. Anche qui una bella cappella, una camera e una toilette in muratura per il padre Giuseppe. La chiesa è arricchita da una bella pittura che un artista locale sta terminando.
Come sempre ed ovunque qui, Cristo e tutti i personaggi delle Scritture sono neri ed è bello vedere l’ambientazione tra palme e tucul…

La settimana passa veloce: è l’ultima serie di lezioni e pratica, foglio elettronico, presentazioni, ripasso, internet…
Sabato pomeriggio però, mantenendo l’impegno della scorsa settimana, padre Pedro mi accompagna al “cattle camp” a fare le foto. Se non ci fosse lui a trattenere e organizzare i bambini avrei fatto foto solo a loro, che, ovunque mi giri, mi si mettono davanti per farsi riprendere in pose guerresche e di lotta… uno spettacolo nello spettacolo di questo campo, quasi al tramonto, tra la cenere e la sabbia, le vacche, qualche cane, qualche capra, tanti bambini, qualche anziana, e diverse splendide ragazze che attendono alle faccende domestiche: cucinare, pestare il mais bianco per fare la polenta (“sida” in lingua dinka) e allattare i figli…
La fotografia (“sura”) attrae tutti e tutti si vogliono far fotografare, ma solo dopo essersi “truccati” con la cenere… ne nasce un “album” che vedrò, in qualche modo e con l’aiuto di qualche amico, di pubblicare…

Domenica dedicata alla preparazione degli esami che si tengono martedì e mercoledì, con la consegna, nel pomeriggio, dei famosi “certificati”.
Gli esami vanno come da copione… tre che riescono ad emergere (due studenti ed un insegnante), gli altri che seguono a distanza e due o tre che proprio non riescono a quadrare, ma a cui rilascio un certificato di presenza e di risultato sufficiente. Tra questi il direttore della scuola primaria, che alla fine chiede a me e a padre Giovanni (io ho evitato di rispondergli) come mai non gli è stato dato il massimo dei voti, data l’anzianità…






La situazione politica è in evoluzione, come da tempo, un giorno avanti e due indietro, ma la speranza che si arrivi ad una conclusione positiva cresce, quasi alla stessa velocità della svalutazione e della fame… Nei prossimi giorni si attendono evoluzioni positive…
Come sempre dobbiamo sperare…



giovedì 4 febbraio 2016

5 – La vita oltre la scuola




Tra sabato e domenica sono riuscito, con la collaborazione dei padri Comboniani, a fare alcune “visite guidate” molto particolari ed interessanti.

Sabato pomeriggio ho chiesto a padre Pedro se volesse fare una passeggiata (so che a lui fa piacere camminare ed io ne sento la necessità: stare in piedi sei ore al giorno non mi piace, ma lo faccio, ma camminare è ben altra cosa!).
Risposta affermativa, “ma non andiamo verso il mercato, andiamo verso fuori..”; risposta affermativa: “non ho da fare shopping, oggi!”.
Ci avviamo sulla “strada nazionale” che va, alla lontana, a Rumbek. Chiacchierando si fa presto… dopo un paio di chilometri, vediamo del fumo: i pastori di un accampamento di vacche stanno bruciando le sterpaglie dopo il passaggio degli animali, per far crescere meglio, dicono loro, l’erba per la prossima stagione. Continuando a chiacchierare fra noi, ma anche con i passanti che salutano e che sono quasi tutti pastori che stanno andando o tornando dal mercato, arriviamo al “cattle-camp”: lo spettacolo è surreale…
Le vacche stanno rientrando, siamo quasi al tramonto, e le donne e i giovani stanno legando i vitellini; le anziane preparano i fuochi per cuocere la cena, unico pasto quotidiano, gli altri sono con la mandria.
Parlando con qualcuno dei “capi” o presunti tali, mi autorizzano, direi che mi invitano, a tornare per fare qualche foto.

La terra è cenere mista a sabbia, i bimbi sono seminudi e con il corpo e la faccia interamente sbiancati dalle cenere… bellissimi e apertissimi a stringere la mano dei “bianchi” o a toccare le mie braccia, pelose come le loro capre… Le poche donne sono intente ai lavori domestici. Le “case” sono costituite da stuoini posti a terra, mentre quattro o sei pali sostengono il tetto che è un altro stuoino: all’interno, si fa per dire, due letti grandi senza materassi ma con qualche coperta, su cui tutti i componenti della famiglia dormono, sognano, fanno l’amore e fanno figli… ce ne vogliono tanti per continuare l’etnia, il gruppo e tramandare le mandrie… troppi muoiono presto, per la cattiva alimentazione, per l’AIDS che si tramandano, per gli incidenti che noi chiameremmo “domestici”, legandoli al concetto di casa (“domus”) tipicamente nostro.
Ho qualche foto “di repertorio”, ma andrò a farne altre…


Non faccio in tempo a metabolizzare le scene del “cattle-camp”… dormo benissimo, ma nel cuore rivedo le scene e penso agli impossibili paragoni con l’Europa, l’Italia, l’Occidente opulenti e spreconi… Ripenso alle foto che voglio fare e che farò…

Domenica mattina padre Giovanni mi invita ad andare con lui, dopo la messa in inglese, in un villaggio a circa 15 chilometri: deve dire la messa in un piccolo villaggio di poche capanne, qualche vacca e uomini e donne lebbrosi, anche loro con un notevole numero di bambini che potrei definire “ancora sani” 
Ora la lebbra si cura: tutti vanno periodicamente a farsi visitare e curare all’o-spedale di Yirol, dell’associazione padovana “CUAMM – Medici per l’Africa”, diretto dalla dottoressa Arianna e gestito anche da altro personale italiano e locale.


Mentre qualcuno degli uomini e qualche giovane preparano la messa, le donne stanno cucinando: preparano la “birra” locale, fatta con mais bianco, sorgo e altro, per noi quasi imbevibile.
In una capanna una ragazzina e una anziana si stanno vestendo: mettono il vestito per la messa… colori sgargianti, fazzoletti coloratissimi in testa e bambini in braccio…
In tutti si vedono le lacerazioni del corpo, le deformazioni degli arti, ed in tutti si vede la voglia di vivere, il desiderio di stringere una mano, il bisogno di una parola… ripenso al bacio al lebbroso di san Francesco…

La messa, come sempre nei villaggi, ma qui in modo ancor più evidente, è molto sentita: si prega tutti, si balla tutti, si accompagnano i canti con la danza del corpo e delle mani. Senza esagerazioni: non è una messa devozionale o superstiziosa, ma una manifestazione di ringraziamento al Padre Eterno, senza troppi interrogativi teologici o filosofici, ma con una fede grandissima…

Si prega soprattutto per la Pace. Mentre fuori dalla chiesa, lungo la strada a cento metri, passano un paio di cingolati che trasportano truppe e sussistenza.
Sì… bisogna proprio pregare… gli “uomini” che stanno cercando le soluzioni per  una pace seria sono gli stessi che, a casa loro, producono le armi con cui questi si ammazzano… che interesse possono avere affinché si raggiunga davvero una Pace durevole? 
Chi vivrà vedrà...