Progetto INFORMAFRICA


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sabato 15 aprile 2017

11 – Ultimo atto: il laboratorio delle “cortecce” - 170322




Ormai a Kampala, con la testa quasi rivolta ad Entebbe ed al suo aeroporto, quasi in attesa dell’imbarco per il rientro in Italia, dopo quasi tre mesi di vaga­re per l’Uganda… quasi… quasi… quasi…
Invece non è così: la realtà è ben diversa! Ai “quasi” iniziali devo sostituire tan­te sensazioni, tante nuove esperienze, nuove conoscenze, piccole avventure che capitano nel brevissimo tempo che rimango a Kampala in attesa proprio del rientro!

La “Gioventù Francescana” di Kampala, con cui avremmo dovuto incontrarci all’inizio di dicembre, la incontrerò in questi giorni, intensi e belli. Dopo i primi contatti con Jacqueline e Nicholas, facciamo un programma serio: venerdì e sa­bato a visitare una scuola e un laboratorio nel profondo sud dell’Uganda, quasi al confine con la Tanzania, a Rakai e Kakuto. Poi avrò un incontro, domenica, a Kampala, con la Fraternità OFS / GiFra, dopo la messa, per una conoscenza re­ciproca, e poi mi faranno da guida per vedere altri prodotti di artigianato e co­noscere meglio le diverse realtà.

Venerdì mattina, appuntamento concordato alle 9, alle 10 incontro Jackie (e la sua bimba di due mesi e mezzo, Esther Anthonia) in centro a Kampala. Si va subito al “bus park” dove prendiamo un “matato” per andare a Rakai (un vil­laggio ad una ventina di chilometri a sud di Masaka, la principale città ugande­se nel sud, verso la Tanzania. Cambieremo “matato” a Masaka e poi prendere­mo due boda-boda per andare alla scuola in cui ci aspettano.
Questa scuola è veramente speciale, in tutto… In aperta campagna, una strut­tura di mattoni divisa in quattro locali in cui funzionano le 7 classi della scuola primaria e una classe di “scuola materna”. Inventata dai genitori delle case sparse nella campagna circostante per evitare ai bambini di andare a scuola ol­tre la strada nazionale, ad oltre due chilometri di distanza. I genitori sono stati aiutati dall’Ordine Francescano Secolare (OFS) che ha donato il serbatorio dell’acqua. Ora CI chiedono di fare uno sforzo per aiutarli ad edificare le aule che mancano: al momento la scuola funziona, come da noi una volta nei paesi­ni in via di spopolamento nelle colline delle Prealpi e degli Appennini, con quat­tro locali e otto classi che convivono a due a due…
Il dirigente della scuola, uno dei genitori, presenta il progetto e ci invita a man­giare e dormire a casa sua la notte prima di sabato. Hanno appena costruito un bell’edificio in mattoni con alcune stanze, grandi ma non arredate ma con il ba­gno incluso, che ancora non funziona. Hanno preparato materassi e lenzuola per dormire: la cena è a casa sua, per noi ospiti… loro mangiano fuori, per non disturbarci… Descrivere questo angolo di campagna è difficile: ci sono due vac­che, mamma e vitello, galline, alberi e vegetazione fitta su una collina lussu­reggiante e che, al suo culmine, si dirada per lasciare spazio ad un prato a pa­scolo per una piccola mandria di vacche e ad un panorama di molti chilometri, verso la Tanzania ed il lago Vittoria...


La mattina, al risveglio, fatta una buona colazione e dopo che Jackie ha accudi­to e preparato Esther ad un’altra giornata di viaggio, si parte… “Boda-boda” fino alla casa dell’associazione che lavora le “cortecce”… Pioviggina, ma non ci si fa caso e sembra che stia migliorando…
Quando arriviamo, l’accoglienza è quella di ogni buona famiglia africana: le se­die per noi, gli stuoini a terra per chi ci ospita, qualche parola di circostanza, e poi cominciano a farci vedere il “ciclo di lavorazione”.

Andiamo in un campo dove ci sono banani, palmette, qualche albero simile alla nostra betulla ed alcune tombe in cui sono sepolti i morti di famiglia…
Il più anziano comincia ad incidere la corteccia di una di queste “betulle”, co­minciando a fare un taglio circolare, non profondo, con il machete, a circa un metro da terra; poi un taglio verticale fino a circa 5 metri, ed un altro circolare
alla fine di quello verticale: in pratica verrà “scortecciato” l’albero per i quattro metri dell’intaglio e per tutta la sua circonferenza. Pulita la corteccia esterna con uno speciale coltello, si scorteccia l’albero usando le foglie di banano acu­minate, per non far male all’albero. Alla fine, mentre altri operai tagliano in pezzi manovrabili la corteccia, l’anziano ricopre la “ferita” con le foglie di palma per non lasciarla alle variazioni termiche che ucciderebbero l’albero stesso. Fra due anni si potrà ripetere l’operazione, perché la corteccia si sarà ricostituita senza dolore per la pianta!

Ma cosa si può fare con la corteccia di un albero? Calma… seguiamo il ciclo la­vorativo… e scopriremo insieme un mondo nuovo…
Una volta che la corteccia, divisa in quattro o più pezzi, è stata lasciata al sole per qualche ora, si è asciugata ed ha preso un bel colore marroncino al suo esterno e nocciola chiaro all’interno, viene battuta con degli speciali attrezzi di legno che la “conciano”, proprio come si può fare con la pelle: quindi si allarga e si allunga, ma soprattutto si ammorbidisce, diventando come stoffa o come pelle. Con il materiale pronto si fanno diversi oggetti: borse e borsette di diver­se dimensioni e consistenze, borse per computer, sottobicchieri e tovagliette da tavola, batik disegnati ad acquarello o ricamati, e così via.
Un ultimo particolare per tranquillizzare i soliti ecologisti malpensanti: anche la corteccia si può rompere durante la lavorazione, ma viene riparata con i fili che costituiscono le foglie del banano, che sembra nylon, ma è quanto di più natu­rale si possa avere!

La giornata non è ancora finita… dobbiamo rientrare a Kampala, cenare e tor­nare alle rispettive dimore… a Kakuto prendiamo il primo “matato” che va di­retto a Kampala… dopo venti chilometri siamo in 18 passeggeri su 14 consenti­ti, strizzati come le sardine, salvo nell’ultima fila dove siamo Jackie, la bimba, io e un altro ragazzo. All’autista viene in mente di caricare una persona e dirle di mettersi nel “quarto posto” dei nostri tre… Mi oppongo in modo categorico, dato che c’é la bimba che ha anche bisogno di prendere il latte e respirare… L’autista si arrabbia, ma tutti gli altri mi danno ragione… Si parte e si arriva a Kampala a sera inoltrata, in tempo per mangiare pollo arrosto e patatine fritte ed andare a nanna…
Domani è domenica e ci aspetta l’incontro “ufficiale” dopo la messa con i “fran­cescani laici” giovani e non.
L’incontro con i “francescani laici” è una presentazione reciproca, dopo una messa di circa due ore (predica di circa 40 minuti), con una richiesta di aiuto per i giovani, che ribadiscono che il progetto dei “laboratori della corteccia” an­drebbe aiutato anche finanziariamente. Accolgo la proposta, chiedendo di pre­sentare un progetto fatto bene ed anticipando che si potrebbe fare un inter­vento tipo “prestito” da pagare con il tempo e con le vendite dell’artigianato prodotto.

Spendo gli ultimi due giorni, approfittando della “guida locale”, per andare a vi­sitare il Santuario dei Martiri Ugandesi a Namugongo, visitato già da tre Papi: Paolo VI, Giovanni Paolo II e Francesco… Bel posto, bella struttura per l’incon­tro con qualche migliaio di fedeli (diventato un milione nella leggenda metropo­litana della guida ufficiale)…
La chiesa invece è un aborto architettonico…

L’ultima visita è al “mercato dell’artigianato” che si trova nel centro di Kampa­la: la presenza di Jackie è utilissima, per capire cosa c’è di buono e di meno buono, cosa è veramente artigianato locale e cosa non lo è…

La mattina dell’ultimo giorno, conosco un padre comboniano che vive nel sud-est dell’Uganda: mi chiede di andare a fare un’aula di informatica nella sua scuola secondaria… Speriamo che sia possibile: gli prometto che cercherò di aiutarlo...

Nel pomeriggio la partenza verso l’aeroporto, verso il ritorno a casa, senza mancare una breve visita a Bruxelles, Liegi e Bruges: non ero mai stato in Bel­gio, ma almeno Bruxelles e Bruges valgono un viaggio!

Tutto bello… ma come sarebbe difficile ripartire senza avere davanti i nuovi progetti che mi riporteranno qui fra qualche tempo…




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