Progetto INFORMAFRICA


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mercoledì 24 ottobre 2012

Mahtere, Kariobangi, Korogocho: un crescendo di miseria!


Avevo letto qualche libro di Alex Zanotelli, e "Il Vangelo della discarica" di Da­niele Moschetti, i due padri comboniani che da quasi venti anni, in successione, hanno portato la loro fede e il loro aiuto in queste aree suburbane che ricorda­no la "Città della Gioia" di Dominique La Pierre e di Madre Teresa.
Avevo letto ed avevo pensato che mi sarebbe stato difficile resistere in posti di questo genere: inutile dire, alla fine anche io sono come tutti noi occidentali, abituati ad un minimo di pulizia vitale, di ordine, di "urbanizzazione"; anche se sicuramente molti di noi ricordano le periferie di Roma e Milano e tante altre città alla fine degli anni '50 e negli anni '60: le baracche sotto i ponti della via Cristoforo Colombo a Roma sono rimaste fino ai primi anni '70!

Vado alla chiesa di St. John con il "matato", il bus pubblico, dopo aver attraver­sato il mercato del centro di Nairobi, seguendo con un certo timore un ragazzo che si era offerto di portarmi alla stazione del bus stesso. Attraversiamo una parte ancora in sviluppo della città, passiamo a fianco di Mahtere, la baracco­poli più piccola: una vallata coperta da tetti di lamiera sotto cui ci sono le "case" dei poveri. Pagano l'affitto ai latifondisti che hanno comprato tutti i ter­reni intorno alla città: da cinque a dieci euro al mese per 4/6 metri quadrati di baracca senza niente altro che le pareti; il passaggio tra le baracche consente il passaggio dei carretti che servono a portare i "rifiuti recuperati" da una parte all'altra del quartiere, ma questo è anche il passaggio degli scarichi a cielo aperto... non esistono acqua e corrente elettrica... uomini e donne e bambini e ragazzi vanno avanti e indietro commerciando qualcosa per portare a casa il pranzo o la cena.

Ancora un paio di chilometri e l'autista, che mi sta facendo da guida, mi indica la strada dalla fermata alla chiesa di Kariobangi, altro "slum".

Mi fermo dai Comboniani per visitare la loro scuola, conosco suor Orietta, che sta insegnando alle sue ragazze a fare le lasagne: domani è la festa di san Da­niele Comboni! E incontro Dalia, una ragazza sarda, volontaria, anche lei socia di "Informatici Senza Frontiere", in partenza per il Cile, che mi chiede di tenere alcuni contatti che lei non ha potuto terminare...
Erik, uno studente che collabora con i Comboniani, mi accompagnerà per tutta la mattina in giro per Kariobangi e Korogocho, facendomi vedere quanto hanno fatto i padri Alex e Daniele: la chiesa, che fa anche da teatro, la casa di recu­pero dei ragazzi di strada, il laboratorio artigianale, le due strade asfaltate...

Appena entriamo nel "villaggio" (ci sono almeno un milione di persone tra i due "slum" vicini) si sente l'odore della miseria, prima nauseabondo, poi sempre più forte, acre, un insieme di tutti gli odori insopportabili per i nostri delicati nasi, abituati ai "deodoranti" delle metropolitane... e si cammina facendo at­tenzione a non mettere le scarpe nel fango putrido o nei rifiuti dei rifiuti... le capanne sono ora attaccatissime ora distanti per lasciare il passo a qualche raro camion.
La gente vive cercando tra i rifiuti e vendendo ciò che trova, oppure due pomo­dori, tre banane, i biscotti sciolti o le fette di ananas o le pannocchie di mais cotte sulla brace, avvolti nella plastica. Alcuni recuperano i sacchi di rifiuti dal fiume e separano la plastica dall'"umido" ormai putrefatto dal caldo e dal tem­po, la plastica viene portata da una parte e il resto viene riutilizzato o mandato definitivamente sul monte dei rifiuti, uno dei tanti della città che conta in totale almeno dodici milioni di abitanti, ma quattro sono quelli che vivono negli "slum".
Compare qualche casa di quattro o cinque piani: affittare qui, sopra la discari­ca, un appartamento costa cinquanta volte una baracca di alluminio...
Erik mi porta a visitare un "centro sociale": una scuola per parrucchiere, un la­boratorio di falegnameria che fabbrica strumenti musicali (jambo, violini africa­ni ad una sola corda ed altri), una scuola-laboratorio di confezioni e di artigia­nato tessile.

Dopo tre ore fra le baracche si torna dai comboniani, alla chiesa di St. John e un padre mi offre qualcosa da mangiare. Sono stanco ed affamato, ma anche emozionato: ho visto qualcosa di veramente impensabile nel 2012, con tutto il benessere che abbiamo e con tutti gli sprechi che "noi civili" in Europa e negli USA e nei paesi "economicamente sviluppati" facciamo.
La povertà dei popoli sudanesi, centrafricani, subsahariani, è una cosa nobile, piena di tradizione e di umanità: qui è la miseria totale di gente che ha perso tutto, o meglio, a cui abbiamo tolto, sottratto, rubato tutto, anche la dignità.




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