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sabato 15 aprile 2017

3 - “Arte culinaria” in Uganda... 170103


Descrivendo i primi giorni di permanenza a Gulu, qualche amico ha obbiettato che mangio troppo… forse, ma non credo… penso piuttosto che, se troppo è, si tratta di un “troppo” legato alla quantità di cibo, e non alle calorie ed agli altri valori ingrassanti…
Questa “maldicenza” mi suggerisce però di scrivere questa “nota” sulla cucina ugandese e le abitudini culinarie locali: roba che Cracco e la Clerici sono due dilettanti allo sbaraglio…

Prima di parlare dei piatti… occorrerebbe avere una “cucina”, luogo in cui si cuoce, si lavano i piatti, ecc.
Le case moderne, non capanne, hanno spesso anche l’acqua e la corrente elet­trica ed hanno anche il locale “cucina”… ma non hanno la classica cucina a gas!
Davanti o dietro casa (o capanna o “tucul”) si pongono tre o quattro sassi ed al loro interno si metterà il carbone per cuocere, sopra la pentola, di solito zincata e grande… Questa è la “cucina”…

La casa in cui mi trovo, appena finita, ha due bagni, un serbatoio dell’acqua, la corrente elettrica, quando funziona, la strada, quando è percorribile, e l’acqua corrente, anche lei legata all’imponderabile! La cucina domestica non funziona ancora, ma c’è una bombola media con un fuoco da campeggio. Fuori un bel fornello di ferro, che funziona a carbone, e su cui si cuoce di tutto. Per fare la pastasciutta ho dovuto prima cuocere il sugo e poi l’acqua e la pasta…

Entrando nel discorso dell’”arte culinaria”, si può cominciare con il dire che i piatti di uso comune, quotidiani, del popolo dei villaggi e della tradizione popo­lare (quindi al di fuori di quanto si trova nelle grandi città) sono relativamente pochini.
Il pasto tradizionale è fatto di una polenta e un “contorno”, se possiamo chia­marlo così, o di un secondo e un contorno di polenta.

Le “polente” sono diverse. La più tradizionale, in Uganda, è il “matoke”. Si ot­tiene bollendo le banane planten in acqua, fino a che non è possibile schiac­ciarle: a questo punto si toglie l’acqua, si schiacciano fino a diventare come la nostra polenta, e si serve bollente. La variante dei villaggi meglio forniti è di cuocere le banane dentro la foglia del banano, che dà maggior sapore. Altra polenta è l’”ugali”, fatta con la farina di mais bianco o di miglio, chiamata “po­cho” dai giovani.
I sostituti delle polente sono il riso, usualmente stracotto, o la “cassava”, che da noi si chiama “manioca” (ma è sudamericana), che viene servita lessata o fritta, oltre alle onnipresenti patate bianche o rosse (dolci), che si fanno lesse o fritte, per fare un regalo ai bimbi anche cresciuti, che le adorano, come dovun­que, con il “ketchup”…
Oltre a questo c’è il sugo di noccioline (“grounades”), che serve per condire il matoke o quant’altro: è una specie del burro di noccioline, integrato con pomo­doro, cipolla e qualche altra verdura, oppure così com’è.

Quello che ho chiamato contorno e che dovrebbe essere chiamato “secondo”, se ci fosse un “primo”, può essere carne di pollo o capra, raramente di maiale o, ancora più raramente, di vacca. A parte la carne, che è comunque rara, ci sono i fagioli, le lenticchie, il pesce, verdure di stagione.
La cosa da ricordare è che quanto si cuoce viene lasciato sul fuoco per molto tempo, perdendo quindi molti valori nutrizionali, positivi o negativi che siano.

Il pollo viene cotto lesso, quasi a tempo indeterminato; la capra può essere fatta con il solito sugo di pomodoro, cipolla e quant’altro; la vacca viene cotta a lungo, tagliata a pezzi con il machete, tanto che alla fine è tutta dura uguale, ossa e carne…
Merita un discorso a parte il pesce. Affumicato, secco, nero, odorante di sale e fumo, al mercato non fa un bel vedere, ma a tavola, fatto bene, è ottimo! Vie­ne asciugato bene al fuoco, poi viene pulito e cotto nel sugo di pomodoro o servito con la “grounades” (il burro di noccioline) semplice, oppure con la cre­ma di noccioline, cotta con pomodoro, cipolle e altro…

I dolci sono pochi e si trovano dal fornaio… solo “plumkake”, alla banana, o alle carote, o ad altro…
Poi ci sono i “mandassi”, una specie di “krapfen” o “bombolone”, molto buoni, ma senza lo zucchero sopra o la crema dentro, e i “ciapati”, una pastella fritta abbastanza sottile, che è fatta come gli austriaci “palachinken”, che però si tro­vano in Friuli e in Slovenia… Io ci metto la marmellata e li arrotolo… qui non ci si mette nulla ma viene mangiato come il pane…

… e per finire la frutta, regina della salute dei ragazzini e adolescenti…

I più diffusi frutti ugandesi sono: papaya, o “popo”, ananas, banane (piccole e dolcissime) o medie, come quelle sudamericane che arrivano ai nostri super­mercati, ma piene di sapore; il mango, saporitissimo, è soggetto alle due sta­gioni. Infine un frutto molto particolare, il “jackfruit”, un frutto molto grande e pesante che è composto da molti frutti al suo interno: pulito bene ha un sapore dolce ma non troppo, e, comunque, molto gradevole.

Per finire sorridendo… In settimana mi hanno chiesto se volevo la pasta… ho accettato con la condizione che la sua cottura sarebbe stata mio compito, tanto per mangiarla, se proprio non al dente, almeno non stracotta!




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