Ormai a Kampala, con la testa quasi rivolta ad Entebbe ed al suo aeroporto, quasi in attesa dell’imbarco per il rientro in Italia, dopo quasi tre mesi di vagare per l’Uganda… quasi… quasi… quasi…
Invece non è così: la realtà è
ben diversa! Ai “quasi” iniziali devo sostituire tante
sensazioni, tante nuove esperienze, nuove conoscenze, piccole
avventure che capitano nel brevissimo tempo che rimango a Kampala in
attesa proprio del rientro!
La “Gioventù Francescana” di Kampala, con cui avremmo dovuto incontrarci all’inizio di dicembre, la incontrerò in questi giorni, intensi e belli. Dopo i primi contatti con Jacqueline e Nicholas, facciamo un programma serio: venerdì e sabato a visitare una scuola e un laboratorio nel profondo sud dell’Uganda, quasi al confine con la Tanzania, a Rakai e Kakuto. Poi avrò un incontro, domenica, a Kampala, con la Fraternità OFS / GiFra, dopo la messa, per una conoscenza reciproca, e poi mi faranno da guida per vedere altri prodotti di artigianato e conoscere meglio le diverse realtà.
Venerdì mattina, appuntamento
concordato alle 9, alle 10 incontro Jackie (e la sua bimba di due
mesi e mezzo, Esther Anthonia) in centro a Kampala. Si va subito al
“bus park” dove prendiamo un “matato” per andare a Rakai (un
villaggio ad una ventina di chilometri a sud di Masaka, la
principale città ugandese nel sud, verso la Tanzania.
Cambieremo “matato” a Masaka e poi prenderemo due boda-boda
per andare alla scuola in cui ci aspettano.
Questa scuola è veramente
speciale, in tutto… In aperta campagna, una struttura di
mattoni divisa in quattro locali in cui funzionano le 7 classi della
scuola primaria e una classe di “scuola materna”. Inventata dai
genitori delle case sparse nella campagna circostante per evitare ai
bambini di andare a scuola oltre la strada nazionale, ad oltre
due chilometri di distanza. I genitori sono stati aiutati dall’Ordine
Francescano Secolare (OFS) che ha donato il serbatorio dell’acqua.
Ora CI chiedono di fare uno sforzo per aiutarli ad edificare le aule
che mancano: al momento la scuola funziona, come da noi una volta nei
paesini in via di spopolamento nelle colline delle Prealpi e
degli Appennini, con quattro locali e otto classi che convivono
a due a due…
Il dirigente della scuola, uno dei
genitori, presenta il progetto e ci invita a mangiare e dormire
a casa sua la notte prima di sabato. Hanno appena costruito un
bell’edificio in mattoni con alcune stanze, grandi ma non arredate
ma con il bagno incluso, che ancora non funziona. Hanno
preparato materassi e lenzuola per dormire: la cena è a casa sua,
per noi ospiti… loro mangiano fuori, per non disturbarci…
Descrivere questo angolo di campagna è difficile: ci sono due
vacche, mamma e vitello, galline, alberi e vegetazione fitta su
una collina lussureggiante e che, al suo culmine, si dirada per
lasciare spazio ad un prato a pascolo per una piccola mandria di
vacche e ad un panorama di molti chilometri, verso la Tanzania ed il
lago Vittoria...
La mattina, al risveglio, fatta
una buona colazione e dopo che Jackie ha accudito e preparato
Esther ad un’altra giornata di viaggio, si parte… “Boda-boda”
fino alla casa dell’associazione che lavora le “cortecce”…
Pioviggina, ma non ci si fa caso e sembra che stia migliorando…
Quando arriviamo, l’accoglienza
è quella di ogni buona famiglia africana: le sedie per noi, gli
stuoini a terra per chi ci ospita, qualche parola di circostanza, e
poi cominciano a farci vedere il “ciclo di lavorazione”.
Andiamo in un campo dove ci sono
banani, palmette, qualche albero simile alla nostra betulla ed alcune
tombe in cui sono sepolti i morti di famiglia…
Il più anziano comincia ad
incidere la corteccia di una di queste “betulle”, cominciando
a fare un taglio circolare, non profondo, con il machete, a circa un
metro da terra; poi un taglio verticale fino a circa 5 metri, ed un
altro circolare
alla fine di quello verticale: in
pratica verrà “scortecciato” l’albero per i quattro metri
dell’intaglio e per tutta la sua circonferenza. Pulita la corteccia
esterna con uno speciale coltello, si scorteccia l’albero usando le
foglie di banano acuminate, per non far male all’albero. Alla
fine, mentre altri operai tagliano in pezzi manovrabili la corteccia,
l’anziano ricopre la “ferita” con le foglie di palma per non
lasciarla alle variazioni termiche che ucciderebbero l’albero
stesso. Fra due anni si potrà ripetere l’operazione, perché la
corteccia si sarà ricostituita senza dolore per la pianta!
Ma cosa si può fare con la
corteccia di un albero? Calma… seguiamo il ciclo lavorativo…
e scopriremo insieme un mondo nuovo…
Una volta che la corteccia, divisa
in quattro o più pezzi, è stata lasciata al sole per qualche ora,
si è asciugata ed ha preso un bel colore marroncino al suo esterno e
nocciola chiaro all’interno, viene battuta con degli speciali
attrezzi di legno che la “conciano”, proprio come si può fare
con la pelle: quindi si allarga e si allunga, ma soprattutto si
ammorbidisce, diventando come stoffa o come pelle. Con il materiale
pronto si fanno diversi oggetti: borse e borsette di diverse
dimensioni e consistenze, borse per computer, sottobicchieri e
tovagliette da tavola, batik disegnati ad acquarello o ricamati, e
così via.
Un ultimo particolare per
tranquillizzare i soliti ecologisti malpensanti: anche la corteccia
si può rompere durante la lavorazione, ma viene riparata con i fili
che costituiscono le foglie del banano, che sembra nylon, ma è
quanto di più naturale si possa avere!
La giornata non è ancora finita…
dobbiamo rientrare a Kampala, cenare e tornare alle rispettive
dimore… a Kakuto prendiamo il primo “matato” che va diretto
a Kampala… dopo venti chilometri siamo in 18 passeggeri su 14
consentiti, strizzati come le sardine, salvo nell’ultima fila
dove siamo Jackie, la bimba, io e un altro ragazzo. All’autista
viene in mente di caricare una persona e dirle di mettersi nel
“quarto posto” dei nostri tre… Mi oppongo in modo categorico,
dato che c’é la bimba che ha anche bisogno di prendere il latte e
respirare… L’autista si arrabbia, ma tutti gli altri mi danno
ragione… Si parte e si arriva a Kampala a sera inoltrata, in tempo
per mangiare pollo arrosto e patatine fritte ed andare a nanna…
Domani è domenica e ci aspetta
l’incontro “ufficiale” dopo la messa con i “francescani
laici” giovani e non.
L’incontro con i “francescani
laici” è una presentazione reciproca, dopo una messa di circa due
ore (predica di circa 40 minuti), con una richiesta di aiuto per i
giovani, che ribadiscono che il progetto dei “laboratori della
corteccia” andrebbe aiutato anche finanziariamente. Accolgo la
proposta, chiedendo di presentare un progetto fatto bene ed
anticipando che si potrebbe fare un intervento tipo “prestito”
da pagare con il tempo e con le vendite dell’artigianato prodotto.
Spendo gli ultimi due giorni,
approfittando della “guida locale”, per andare a visitare il
Santuario dei Martiri Ugandesi a Namugongo, visitato già da tre
Papi: Paolo VI, Giovanni Paolo II e Francesco… Bel posto, bella
struttura per l’incontro con qualche migliaio di fedeli
(diventato un milione nella leggenda metropolitana della guida
ufficiale)…
La chiesa invece è un aborto
architettonico…
L’ultima visita è al “mercato
dell’artigianato” che si trova nel centro di Kampala: la
presenza di Jackie è utilissima, per capire cosa c’è di buono e
di meno buono, cosa è veramente artigianato locale e cosa non lo è…
La mattina dell’ultimo giorno,
conosco un padre comboniano che vive nel sud-est dell’Uganda: mi
chiede di andare a fare un’aula di informatica nella sua scuola
secondaria… Speriamo che sia possibile: gli prometto che cercherò
di aiutarlo...
Nel pomeriggio la partenza verso
l’aeroporto, verso il ritorno a casa, senza mancare una breve
visita a Bruxelles, Liegi e Bruges: non ero mai stato in Belgio,
ma almeno Bruxelles e Bruges valgono un viaggio!
Tutto bello… ma come sarebbe
difficile ripartire senza avere davanti i nuovi progetti che mi
riporteranno qui fra qualche tempo…