Sono arrivato a Mapuordit ieri sera, dopo un viaggio complesso ma nella norma di queste parti. Il volo da Roma ad Addis Ababa e di qui a Juba è stato normalissimo, come la sosta di una notte presso la comunità comboniana della capitale sud-sudanese.
L’accoglienza dei padri è stata informale e piena di simpatia. Dopo una mattinata trascorsa a sistemare i bagagli per il volo da Juba a Rumbek, con regole di trasporto diverse, si va finalmente all’aeroporto.
Il volo è in orario e, a parte la lamentela del personale di controllo per il sovrappeso del mio bagaglio, superata dal fatto che personalmente peso sessantacinque chili e quindi posso portare più bagaglio di chi ne pesa ottanta, anche qui tutto regolare. Il volo è del Word Food Programme dell’ONU, che trasporta volontari, personale delle ONG e derrate alimentari per i punti di distribuzione delle stesse.
A Rumbek, dopo circa cinquanta minuti, si atterra su una pista in terra battuta piuttosto buona, nel “bush” (la savana), alla periferia di una città che è ancora di capanne o poco più.
Il personale controlla tutto, solo per far vedere che ha il potere di farlo, ma sono abbastanza gentili, forse anche perché sono italiano.
Mi vengono a prendere dal vescovado per portarmi alla “Pan Door” (Casa della Pace) dove dormirò in attesa dell’arrivo, domattina, di padre Daniele Moschetti, che mi viene a prendere in auto da Mapuordit.
Approfitto del pomeriggio per andare a visitare e conoscere il vescovo, mons. Cesare Mazzolari, comboniano, con un cognome che è proprio un bel programma. Mi accoglie in modo caloroso, gentile e, oserei dire, confidenziale. Mi chiede cosa sono venuto a fare e cosa potrei fare e mi racconta qualcosa della diocesi e della comunità di Mapuordit.
Serata in comunità con gli altri volontari di mezzo mondo che alloggiano lì e lavorano in ospedali e scuole. Mancano luce e acqua da qualche giorno. Niente doccia, cena a lume di lampada a petrolio e torce elettriche e a nanna.
La mattina dopo, all’aeroporto, in attesa dell’arrivo di un medico slovacco, altro volontario, che verrà anche lui a Mapuordit, incontro nuovamente il vescovo, con padre Daniele, e qui si familiarizza veramente. Tra l’altro abbiamo conoscenze comuni, come mons. Bertin, vescovo di Gibuti.
Il viaggio da Rumbek a Mapuordit serve per entrare subito nell’atmosfera: strade in terra battuta, sconnesse, piene delle buche della stagione delle piogge appena finita; mandrie di vacche e capre che attraversano all’improvviso, qualche motorino che viaggia ai limiti della velocità e della sicurezza, bambini nudi che salutano, gente che cammina, come nel Sahel, lungo la strada, per chilometri. Si incrocia solo qualche altro fuoristrada, ovviamente quasi tutti Toyota Hilux o Land Cruiser, cabinati o pick-up.
Circa un’ora e mezza per i primi cinquanta chilometri, fino ad Akot, dove si gira, entrando nella savana, per fare gli ultimi trenta chilometri di pista ai limiti delle possibilità dei mezzi. La mattina, venendo a Rumbek, padre Daniele ha dovuto aiutare due auto che si erano bloccate in “pozzanghere” profonde oltre mezzo metro… Il nostro autista è bravissimo e, nonostante i dieci passeggeri e i bagagli, riesce ad evitare di farci spingere…
In un’altra ora e mezzo si arriva nel “centro” di Mapuordit. La comunità è poco distante. Finalmente una doccia, poi cena e riposo. Domani è un altro giorno.
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