Progetto INFORMAFRICA


Ridurre il "digital divide" portando la nostra CONOSCENZA
in modo ETICO e RESPONSABILE, ma non i nostri "modelli di vita"

giovedì 30 gennaio 2014

Considerazioni a ruota libera



Benny fa fatica, come gli altri giovani presenti, italiani e non, ad accettare il modo di vita de­gli africani: dicono che sono lenti, che non rispettano gli impe­gni, che non tutti hanno la “giusta voglia” di lavorare.

Credo che sia solo un problema di pazienza ed accettazione rispettosa di molte differenze di vario genere.

Il primo problema è dato dalla cultura millenaria: nessuno lavora più di tanto perché è sufficiente ciò che si ha, ognuno per sé; nessuno o quasi coltiva per vendere, ma ognuno mangia ciò che produce; fino a pochi anni fa la terra era di tutti: magari qualche volta si ammazzavano per la scelta del posto, ma non c'era la proprietà privata.

Suor Dorina racconta come una ventina di anni fa i “Comboni Samaritans Gulu” hanno aiutato le famiglie anche facendo loro prestiti per acquistare la terra per coltivare qualcosa di più perché la famiglia era cresciuta troppo.
Ora lo stato sta facendo una specie di catasto, anche perché gli occidentali e i cinesi stanno “comprando” le terre per le coltivazioni e mandano via interi vil­laggi, senza alcun riguardo per chi ci vive, usando anche le ruspe e le armi.

Secondo problema è quello naturale del clima: si lavora al mattino presto (ma noi cominciamo tardi!) mentre fa ancora fresco, ma dalle 12 alle 16 la tempe­ratura, soprattutto in questa stagione, è elevata e ci si stanca subito. Quindi la vita riprende nel pomeriggio, dopo una breve interruzione e continua dopo il tramonto (alle 18.30/19).
La lentezza e i tempi della natura rendono le persone più calme, meno esagita­te che da noi: non hanno nulla, quello che arriva è una grazia, perché correre? Noi dobbiamo correre per il biscottino del “Mulino Bianco”, per la “Golf Take&Sound” e per l'ultimo modello di iPhone con cui rompere le scatole du­rante le cene conviviali... Bell'esempio, il nostro!

Ragazzi, ma vi pare che si stia meglio qui o nel caos globalizzato? La prima ri­sposta è semplice, anche se per me non condivisibile: mi manca il “pub”...
Vero che poi a qualcuno mancano anche gli amici e le belle città italiane, ma lo shopping si fa anche qui, in mezzo alla polvere magari, alle mosche, ai bambini nudi con il naso gocciolante, alle donne che fanno la siesta sui vestiti in vendi­ta... ma è uno spettacolo di vita e di varia umanità impagabile! Il mercato è veramente uno spettacolo da non mancare! Oltretutto è lo specchio di come la gente vive, degli strumenti che usa, dei prodotti che usa, ma che non getta via per oltre la metà...

Qui si consuma tutto, si usano solo leggerissimi sacchetti di plastica per confe­zione, e quando qualcosa non va più bene... si Ripara, si Ricicla, si Riutilizza... usando le “RI” di Serge Latouche...

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Tutto è bene ciò che finisce bene... Il corso è finito e siamo tutti contenti di come è andato: qualche assenza di troppo, qualche ritardo dovuto all'assenza degli orologi, ma anche agli impegni di lavoro di qualcuno, ma tutti sono usciti arricchiti, anche noi, quanto meno in pazienza.

Io sono particolarmente soddisfatto perché penso ai due allievi che hanno lavo­ri umilissimi e ora sono riusciti a dimostrare che con un po' di aiuto possono fare molto meglio e ancora di più per un altro che, senza lavoro, forse lo potrà avere attraverso o all'interno della struttura stessa dei Comboni Samaritans.

Ai saluti finali ho voluto ricordare proprio che il proposito degli “Informatici Senza Frontiere” è di ridurre il “digital divide”: oggi abbiamo raggiunto il nostro obbiettivo con queste tre persone.

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Sfruttando il pomeriggio del sabato, domani mattina si parte dopo colazione, vogliamo andare “in città” a fare le ultime compere di ricordini, salutare gli amici che lavorano in città, farci qualche foto di testimonianza che siamo qui.

Questo sarebbe stato il programma...

A pranzo Benny ha sintomi di febbre: speriamo non sia nulla! Ha fatto le vacci­nazioni di rito, ha preso il “Malarone” contro la malaria, ha mangiato sempre bene e non ha avuto altri sintomi, quindi sono abbastanza tranquillo.
Nel primo pomeriggio la febbre sale: unica soluzione è quella di an­dare al pronto soccorso dell'ospedale di Lacor, dove risiede anche suor Dorina, ovviamente in “boda-boda”, cinque chilometri su una “pista nazionale”...

Fortunatamente è troppo presto per la malaria, che non avrebbe avuto il tempo per l'incubazione, il pronto soccorso è superlativo: esame del sangue completo, immediato, dottori professionalmente preparatissimi ed anche umanamente!
Una piccola infezione gastro-intestinale, curata con una leggera dose di anti­biotico e il paracetamolo per la febbre. Già la sera Benny sta meglio.
Al mattino, dopo un lungo sonno, Benny si alza pimpante e fresco come niente fosse successo. Unica precauzione per il viaggio: tanta spremuta di limone in­vece dell'acqua.

Arriviamo a Kampala in tempo per fare due passi, riposarci bene e a mezzanot­te lo accompagnamo ad Entebbe per la partenza.
All'ingresso dell'aeroporto c'è un blocco della polizia che perquisisce me e Ben­ny, ma non Masimo e l'autista e nemmeno i bagagli... facce da delinquenti? Chi può dirlo?

Lasciamo Benny, che partirà alle 5 per Istanbul, e noi andiamo finalmente a dormire!

 

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