Sono a Juba. Ieri sera abbiamo festeggiato l'arrivo del nuovo padre Provinciale, padre Daniele, che compiva anche i suoi “primi” cinquant'anni. Fra poco andrò all'aeroporto per imbarcarmi per Addis Abeba, dove arriverò nel primo pomeriggio; nella notte imbarco per Roma, dove sarò domattina: oggi qui toccheremo i 40°, a Roma ne troverò qualcuno sotto zero... da rabbrividire anche solo al pensiero!
Il viaggio da Mapuordit a Rumbek è iniziato anch'esso all'insegna del brivido: avevamo appuntamento con padre Mark alle sei. Alle 6.20 abbiamo mandato Simon, il nostro guardiano, a vedere come mai non arrivava: dormiva all'ingrosso... Alle sei e mezzo partiamo con il timore di perdere l'aereo, ma con un pilota come lui abbiamo rapidamente recuperato ed alle otto e mezzo eravamo a Rumbek: tempo record! Qui incontriamo una suora e un sacerdote che vengono anche loro a Juba. Il vescovo, venuto a salutare padre Daniele che lascia la diocesi, mi saluta, mi chiede di tornare e mi dà la sua email dicendomi: “Per qualsiasi necessità, fatti sentire che cercherò di aiutarti!”. Una soddisfazione anche questa. Un vescovo pastore. Ce ne sono molti fuori dall'Italia...
Il volo verso Juba è in due tappe: l'aereo dell'ONU va prima a Wau, a nord, verso il confine con il Nord Sudan, e poi ritornerà a sud. La giornata come sempre è bella, ma ci sono nuvole che non consentono la visione panoramica del territorio: si intravvede solo qualche spiraglio sulla savana, qualche piccolo fiume e qualche villaggio. L'arrivo a Wau è quanto meno “poco invitante”: mentre si atterra all'inizio della pista in terra battuta, si vede il relitto di un aereo che deve aver sbagliato le misure, e, durante la frenata, se ne vedono altri due sulla destra a perenne monito: sei obbligato a ringraziare il Signore che il tuo aereo è atterrato regolarmente!
Rispetto a Rumbek questo di Wau è un aeroporto vero: c'è il bar, ci sono le toilette ed il personale che indica al velivolo dove parcheggiare, oltre ad un altoparlante che indica arrivi e partenze (due al giorno).
Anche il volo verso Juba è regolare, come l'atterraggio. All'aeroporto ci attende padre Jorge, un messicano che ce l'ha su con gli italiani e gli europei... non si parla fino alla missione.
Arrivano a Juba anche due volontari trentini che vanno verso nord, Wau o Marialoh. Nel pomeriggio riesco, con loro, ad andare a fare un giro a piedi per Juba, lungo la strada asfaltata che gira intorno al centro urbano. L'aspetto è come quello di Yaounde, in Camerun, o di Ougadougou, in Burkina Faso: lungo la strada i negozietti che vendono di tutto e di più e qualche bar dove si può trovare una bibita quasi fresca; qui però ci sono diversi stranieri che commerciano, dagli indonesiani ai cinesi. Per il resto, quando si attraversano le strade laterali, ci si rende conto che la miseria è anche qui: niente asfalto, tanta polvere, tanto sporco, i bambini che giocano nudi per strada, le persone che camminano senza scarpe o con gli infradito cinesi...
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