Progetto INFORMAFRICA


Ridurre il "digital divide" portando la nostra CONOSCENZA
in modo ETICO e RESPONSABILE, ma non i nostri "modelli di vita"

venerdì 31 dicembre 2010

Momenti...

Conclusioni

La cosa più difficile da spiegare è il perché di questo viaggio: mi si chiede cosa spero di poter “risolvere”, in termini occidentali, in un Paese tanto diverso e tanto “indietro”... Cui prodest?
Credo di dover concludere proprio con la risposta a questa domanda, perché altrimenti troppe persone rimarrebbero con l'idea di una insana follia o del desiderio di evadere dalla realtà.

Quando si va in Africa, sarebbe meglio dire quando ci si immerge in realtà tanto diverse dalla nostra, ma soprattutto in situazioni in cui manca totalmente il superfluo, che costituisce il 90% dei nostri consumi e delle nostre “pseudo-necessità”, e scarseggia fortemente il necessario vitale, che noi non sappiamo più quale realmente è, ci si trova ad affrontare la vita quotidiana dovendo abbandonare le nostre abitudini e fare un'operazione di adeguamento non da poco.

Un lungo periodo di permanenza in queste condizioni ambientali ci trasforma: già dopo un mese, a me è successo la prima volta nel Sahel, in Burkina-Faso, quando si riparte, ci si rende conto che domani si ricomincia ad avere tutto quanto serve per vivere e tutto il superfluo per sentire soddisfatte esigenze inutili. Per contro si capisce anche che la gente con cui si è condiviso il tempo, il mangiare poco, il bere diverso, la polvere, il vestito sempre uguale, e tutta la infinità di quelle che per noi sono “mancanze”, “assenze”, la gente che abbiamo incontrato rimane lì con il suo niente, magari con la speranza di rivederci e che si ritorni con qualcosa di più della nostra cultura, delle nostre idee e del nostro superfluo...
Quando il periodo di permanenza si allunga, ci si adegua, mente e corpo, e ci si rende sempre più conto della inutilità di tante cose e della quantità di superfluo che abbiamo nel nostro mondo occidentale.
E alla fine diventa difficile lasciare la semplicità della vita del villaggio, la semplicità della gente, il silenzio di strade senza motori, la bellezza dei tramonti senza luci artificiali, il calore umano dei fuochi notturni attorno a cui vivono le famiglie piene di bambini... quelli che ti chiamano “hallo! Hallo!” quando passi, per poterti stringere la mano o semplicemente toccare il braccio bianco e peloso...
Bisogna passare una notte di luna piena camminando per le strade sterrate tra le capanne, con i soli rumori degli animali notturni, e la sola luce della luna, per rendersi conto del prezzo che paghiamo alle nostre “comodità”, quelle per cui siamo disposti a prostituirci o ad accoltellare il vicino...
Ci si abitua a tutto, veramente a tutto, e nulla manca, nemmeno il rapporto affettivo e sessuale: si sa che non si può, punto. Ci sono donne e uomini bellissimi, ma sono da guardare, da conoscere per quel che sono e non per quello che ti potrebbero dare fisicamente. E' molto più semplice di quanto pensiamo: siamo molto più vicini allo spirito, quando è il vuoto che ci circonda.

Ogni volta che torno in Italia, qualcuno mi chiede se mi è venuto il “mal d'Africa”: mi è molto difficile rispondere in modo semplice, sì o no, per diversi motivi.

Se per “mal d'Africa” si intende la nostalgia dei posti, delle persone, delle esperienze, forse viene, ma, avendo girato molti posti, molte nazioni, conosciuto molti popoli anche diversi, direi che sarebbe la normalissima nostalgia di quando si lascia qualcuno o qualcosa che ha provocato in noi gioia e piacere.
Il desiderio forte di tornare per rimanere là lo provo sì, ogni volta, come il dispiacere di dover tornare in Italia lasciando i bimbi neri o i giovani che vedi crescere e maturare tra una vacca e un computer.
Ma non credo che questi sentimenti e queste sensazioni si possano definire “mal d'Africa”: mi ripeto, forse,  ma allo stesso modo ho nostalgia di Vienna e di Monaco di Baviera, dove ho passato momenti belli ed indimenticabili della vita.

Il “mal d'Africa” lo sento come il senso di colpa che chiunque dovrebbe avere pensando a ciò che abbiamo visto e per cui tanto poco abbiamo fatto. Visto positivamente diventa la nostra necessità morale di tornare e di fare qualcosa, qualcosa di più per farci perdonare le omissioni di tanti secoli di storia in cui abbiamo colonizzato e depredato regioni e popoli rendendoli sempre più poveri rispetto a noi.
  
Bisogna tornare, certo, ma non andiamo a “civilizzare”, non esportiamo il nostro modo di vivere, non portiamo, per l'amore di Dio e dei poveri che vogliamo aiutare, il nostro consumismo capitalista, e nemmeno il nostro socialismo solidale!
Dobbiamo andare in Africa, come in qualsiasi altro paese “sottosviluppato”, come li definiamo noi “superiori”, con l'umiltà di chi sa che troverà una società per certi aspetti meno sviluppata, ma soprattutto delle persone come noi, con le sue necessità primarie ancora veramente autentiche, con la sua non-cultura, che possiamo aiutare a crescere gradualmente, con le sue abitudini, che non dobbiamo estirpare mettendole in un televisore e facendole diventare materiale pubblicitario.
Gli interventi necessari più urgenti, a mio parere, sono quelli sanitari, con l'intervento soprattutto formativo della popolazione, tendente a migliorare il livello di prevenzione di certe malattie, e gli interventi culturali, con l'apertura di scuole elementari per alfabetizzare e dare i fondamenti per la prima comunicazione, orale e scritta, ma anche per dare una prima infarinatura sulla storia, le arti ed i mezzi di comunicazione.

Come diceva padre Daniele Comboni, bisogna aiutare l'Africa “attraverso l'Africa”, quindi con le sue capacità, le sue persone, le sue tradizioni, senza voler forzare cambiamenti radicali che noi abbiamo fatto in cento anni e che pensiamo di poter far fare a loro in dieci.

giovedì 30 dicembre 2010

Assisi


Assisi. Le campane di San Francesco mi svegliano dopo la prima notte di riposo “italiano”. Non sono abituato a nessun rumore, solo agli uccelli notturni e mattutini... Meno male che la Pro Civitate Christiana è in un quartiere assolutamente silenzioso! Da oggi cercherò di riprendere le attività normali, ma sicuramente avrò da raccontare, spiegare, cercare di far capire tante cose... e poi finire queste note, riordinare le foto e scegliere quelle per la “presentazione”.

martedì 28 dicembre 2010

In volo...

Sono a Juba. Ieri sera abbiamo festeggiato l'arrivo del nuovo padre Provinciale, padre Daniele, che compiva anche i suoi “primi” cinquant'anni. Fra poco andrò all'aeroporto per imbarcarmi per Addis Abeba, dove arriverò nel primo pomeriggio; nella notte imbarco per Roma, dove sarò domattina: oggi qui toccheremo i 40°, a Roma ne troverò qualcuno sotto zero... da rabbrividire anche solo al pensiero!

Il viaggio da Mapuordit a Rumbek è iniziato anch'esso all'insegna del brivido: avevamo appuntamento con padre Mark alle sei. Alle 6.20 abbiamo mandato Simon, il nostro guardiano, a vedere come mai non arrivava: dormiva all'ingrosso... Alle sei e mezzo partiamo con il timore di perdere l'aereo, ma con un pilota come lui abbiamo rapidamente recuperato ed alle otto e mezzo eravamo a Rumbek: tempo record! Qui incontriamo una suora e un sacerdote che vengono anche loro a Juba. Il vescovo, venuto a salutare padre Daniele che lascia la diocesi, mi saluta, mi chiede di tornare e mi dà la sua email dicendomi: “Per qualsiasi necessità, fatti sentire che cercherò di aiutarti!”. Una soddisfazione anche questa. Un vescovo pastore. Ce ne sono molti fuori dall'Italia...

Il volo verso Juba è in due tappe: l'aereo dell'ONU va prima a Wau, a nord, verso il confine con il Nord Sudan, e poi ritornerà a sud. La giornata come sempre è bella, ma ci sono nuvole che non consentono la visione panoramica del territorio: si intravvede solo qualche spiraglio sulla savana, qualche piccolo fiume e qualche villaggio. L'arrivo a Wau è quanto meno “poco invitante”: mentre si atterra all'inizio della pista in terra battuta, si vede il relitto di un aereo che deve aver sbagliato le misure, e, durante la frenata, se ne vedono altri due sulla destra a perenne monito: sei obbligato a ringraziare il Signore che il tuo aereo è atterrato regolarmente!
Rispetto a Rumbek questo di Wau è un aeroporto vero: c'è il bar, ci sono le toilette ed il personale che indica al velivolo dove parcheggiare, oltre ad un altoparlante che indica arrivi e partenze (due al giorno).

Anche il volo verso Juba è regolare, come l'atterraggio. All'aeroporto ci attende padre Jorge, un messicano che ce l'ha su con gli italiani e gli europei... non si parla fino alla missione.
Arrivano a Juba anche due volontari trentini che vanno verso nord, Wau o Marialoh. Nel pomeriggio riesco, con loro, ad andare a fare un giro a piedi per Juba, lungo la strada asfaltata che gira intorno al centro urbano. L'aspetto è come quello di Yaounde, in Camerun, o di Ougadougou, in Burkina Faso: lungo la strada i negozietti che vendono di tutto e di più e qualche bar dove si può trovare una bibita quasi fresca; qui però ci sono diversi stranieri che commerciano, dagli indonesiani ai cinesi. Per il resto, quando si attraversano le strade laterali, ci si rende conto che la miseria è anche qui: niente asfalto, tanta polvere, tanto sporco, i bambini che giocano nudi per strada, le persone che camminano senza scarpe o con gli infradito cinesi...

domenica 26 dicembre 2010

E’ forse ora che faccia anche io le valigie…

L’ultima settimana a Mapuordit è trascorsa tra la fine del secondo corso a Pan Amat, con gli esami e, di conseguenza, contenti e scontenti, con i primi saluti, le partenze degli ultimi volontari stranieri, gli operai ugandesi e kenyoti che stanno lavorando all’ospedale ed alla scuola primaria, e di tutti quelli che lavorano e vivono a Mapuordit che sono andati a trascorrere le vacanze nei villaggi di origine.
Ci sono zone del villaggio che hanno assunto un aspetto tra lo spettrale e il senso dell’attesa di una stagione migliore: i cortili sono stati ripuliti che sembrano finti, non ci sono più i bimbi che urlano “hallo! hallo!”, non ci sono più le donne e le ragazze che pestano il mais, non ci sono più gli uomini seduti a chiacchierare sotto gli alberi.
E’ forse ora che faccia anche io le valigie…


La sera a cena si parla, come sempre, di tante cose; stasera si torna sulla visita di un commercialista pavese che sta scrivendo una “storia del Sudan”: era ad Yirol per il Convegno giovanile ed il lunedì mattina lo hanno chiamato all'ospedale del CUAMM per una donazione di sangue. Ricordo di essere donatore di sangue anche io e lo dico: “Allora domattina alle 8 vieni a donare all'ospedale!” è la reazione immediata, indiscutibile, perentoria di fratel Rosario, che poi, quasi a giustificarsi di una richiesta tanto normale e giusta, aggiunge: “Ne abbiamo sempre bisogno!”.

Così al mattino alle 8 mi presento a fratel Andres per il prelievo: passa una mano sul lettino per spolverarlo un po', mi fa sdraiare, trova un ago di quelli belli grossi di una volta e mi “succhia” una sacca di circa mezzo litro. Quando gli chiedo, quasi sottovoce, “ma gli esami quando li fai?”, risponde sicuro e tranquillo: ora tu puoi andare e noi facciamo gli esami!...

Mi faccio accompagnare a Pan Amat perché non so se da solo ci arrivo. A chiusura del corso voglio proiettare un film sulla “Redenzione”, fatto di sole immagini artistiche che stupiscono non poco il folto pubblico di bambini e uomini che si accalcano dietro di me… Alla fine James mi regala una pipa di Agany, come ricordo dell’esperienza di questi tre mesi! E’ l’unico oggetto artigianale, oltre alle collanine dei pastori dinka, che si può trovare in zona. Ricordo veramente gradito. Contraccambio pagando il cemento per le pareti della “scuoletta”.

La sera  arriva il vescovo e celebra la messa della Natività alla luce di quattro lampade accese grazie al rumorosissimo generatore a benzina; unito alle voci mai dome dei bimbi che partecipano alla celebrazione fino a quando non crollano addormentati a terra, il rumore copre totalmente la voce del vescovo, dei lettori e del parroco, per cui tutto avviene in modo quasi surreale. Prima della messa il vescovo si isola per confessare ed è veramente commovente vedere quanti giovani e adulti si portano a lui con le loro pene ed il loro pentimento.

Il giorno di Natale è di riposo, di incontro, di preghiera attiva, ma per me è anche momento di riflessione e preparativi. La mattina è però impegnata nella messa del vescovo che annuncia ufficialmente la partenza di padre Daniele per Juba, dove prende l’incarico di Provinciale per il Sud Sudan dei Missionari Comboniani. Momenti di commozione e di riconoscimento per quanto questo missionario è riuscito a fare in poco più di un anno in questo villaggio; dalle attività per i giovani alla promozione umana delle donne, dallo sport alla sensibilizzazione verso il Referendum e la trasformazione del Sud Sudan in nazione indipendente.
Il pomeriggio lo passo a scrivere, a preparare le valigie, a passeggiare ancora una volta per il villaggio. Mi piace rivedere i volti noti degli anziani, dei pochi commercianti, le bancarelle semivuote, ed anche sentire l’acre odore d’Africa.

Oggi, domenica, ultimo giorno, ci sarà anche la festa dell’Ospedale con la “cena del villaggio”, i discorsi dei “leader”, le danze dei giovani e qualche lacrima prima della partenza, al momento dei saluti. Tanta gioia nel vedere l’apprezzamento per quanto fatto, tanta speranza di poter tornare a continuare questa collaborazione, un po’ di tristezza per ciò che si lascia, e tanto timore per un ritorno ad una civiltà tanto più progredita quanto poco umana. Il solo pensiero delle “luminarie natalizie”, delle luci di un centro commerciale, del frastuono di strade e industrie, mi sconvolge non poco.

lunedì 20 dicembre 2010

Sono seduto su un tubo di ferro... non ho più l’età per certe cose!

Questo week-end è stato veramente impegnativo: il Convegno Giovanile Diocesano ad Yirol ha comportato non poca fatica e lavoro, per tutti.
Ho avuto la “consegna” da padre Daniele di portare da Mapuordit ad Yirol una trentina di ragazzi e ragazze, con un camion che doveva essere pronto dopo la messa, circa alle 8.30.
La disposizione è di non caricare nessuno oltre agli iscritti che hanno pagato.
Alle 10 il camion ancora non si vede: i ragazzi che hanno pagato sono assolutamente tranquilli, una decina di abusivi, che non ha pagato e non vuole pagare, comincia a lamentarsi su quando arriverà il camion, se è vero e soprattutto perché non vengono date risposte, e perché non viene data la colazione!

Verso le dieci e mezza, finalmente, si parte: ho delegato a mantenere l’ordine un ragazzo nero, facendogli anche un bel discorso: d’ora in poi i ragazzi dipendono da te, perché tu sei dei loro e parli la loro lingua. Sei tu il responsabile per loro, per quelli in più che non hanno pagato e per quanto succede!
Io rimango in cabina, davanti siamo in quattro e nella parte dietro ce ne sono altri due; nel cassone, alla fine, oltre quaranta. Sono seduto su un tubo di ferro, battendo la spalla contro la portiera, dovendo stare attento alle buche per evitare qualche botta più dura…
Arrivo con lividi pesanti sul sedere e sulla spalla, oltre ad essere completamente massacrato: non ho più l’età per certe cose…
 
Il Convegno si svolge nella gioia e nella serenità: sono presenti quasi tutti i parroci della Diocesi, o gli assistenti giovanili, comboniani e diocesani, il vescovo mons. Mazzolari e per la serata del sabato e la Messa della domenica c’è anche il Nunzio Apostolico, arrivato appositamente da Khartoum. Durante una chiacchierata “a ruota libera” garantisce, tra molta diffidenza, che il Referendum andrà in porto senza problemi e senza incidenti: quasi tutti pensano che si tratti di una mera speranza fideistica, ma il tono della sua voce è sicuro e pare assolutamente certo di quanto afferma. Speriamo in bene!
Poi spara a zero sulle autorità governative di Khartoum, che nei cinque anni di pace dalla fine della guerra civile ad ora, non hanno fatto assolutamente nulla per il Sud, e che sono corrotte fino all’osso! Sembra quasi un discorso di un “diplomatico a fine mandato”, che può finalmente togliersi tutti i sassi dalle scarpe.

L’unico discorso che fa sorridere i giovani, e a dire il vero anche i missionari e gli altri preti, è quello sui matrimoni in chiesa, che il Nunzio auspica caldamente, come nuove vocazioni religiose: i giovani sono poligami e non pensano assolutamente a sposarsi in chiesa, se non altro per non essere ipocriti fino in fondo!
 
Lo svolgimento del Convegno è articolato tra incontri, testimonianze di missionari e sacerdoti, incontri sportivi tra le parrocchie, relazioni dei leader delle singole parrocchie sulle attività pastorali svolte e sulle speranze futuribili. La sera gara-spettacolo tra i gruppi parrocchiali: danza e musica etnica e moderna.
Veramente rilevante l’attenzione di tutti i gruppi e la partecipazione attenta ed attiva di tutti questi giovani, oltre 500, venuti anche da molto lontano: la diocesi si estende quasi dal confine con il Sudan del Nord, all’estremo est ed a sud con la diocesi di Juba.

I discorsi sul Referendum e sulla secessione, ormai vicinissimi, la fanno da padrone: se ne parla con gioia e con serietà, con impegno e desiderio di uscire da una situazione ormai insostenibile di dipendenza da qualcuno che non considera assolutamente il Sud come una nazione o un popolo facenti parte di un’unica nazione. Inutile dire che le notizie che vengono dall’Italia, sulle vicende personali dei nostri governanti, fanno ancora più male: viene l’idea che la gente di qui, ancorché senza cultura e senza storia, sia molto più seria e pulita dentro.

La domenica pomeriggio, ancora mezzo acciaccato dal viaggio di venerdì, decido di tornare a Mapuordit approfittando di un passaggio di padre Mark, degli Apostoli di Gesù; così avrò un giorno intero per riposare e riorganizzarmi anche mentalmente l’ultima settimana di lavoro.
Si parte al tramonto, con la prospettiva di non cuocere al sole, ma anche di prendere qualche buca in più: padre Mark corre molto, ma conosce anche tutte le strade e i sentieri più impensati della regione. Riusciamo ad arrivare a Mapuordit, traversando la savana per parecchi chilometri, in meno di due ore! Gli altri, per la strada normale, attraverso Agany ed Aluakluak ci mettono almeno tre ore…
Lo spettacolo notturno della savana è notevole: uccelli ed animali notturni, qua e là, e poi si attraversa qualche piccolo villaggio con i fuochi accesi per cucinare il mais bianco o il riso o raccontare le favole ai bimbi per farli dormire.

giovedì 16 dicembre 2010

Comincio a pensare di comprarmi un tucul...

Oggi, finalmente, riunione con Fratel Rosario, nuovo superiore della Comunità Comboniana e direttore sanitario dell’ospedale: dobbiamo valutare la possibilità del mio ritorno a Mapuordit il prossimo anno, Referendum e “secessione” permettendo.
Alla fine sono tutti contenti della mia idea di tornare: l’unico problema, non da poco, è quello dell’alloggio, per i comboniani devono costruire qualche camera, ma verrà pronta a fine del prossimo anno, e le altre sono delle suore australiane. Visto però che devo venire per la scuola, devo contattare suor Philippa, appena partita per l’Australia, che dobrevve prendermi “in carico”; per il vitto ci penserà l’ospedale, a fronte della disponibilità a risolvere i loro problemi.
Comincio a pensare di comprarmi un tucul, o farlo costruire nuovo: il problema più grande sarà quello dell’acqua. Bisognerà costruire un “tank”, come chiamano qui il serbatoio, e portare l’acqua a mano; con una piccola pompa si manda nel serbatoio e si può utilizzare anche per la doccia… Il servizio igienico sarà come ai vecchi tempi nostri ed a quelli attuali di qui: pozzo biologico ad accesso diretto, senza sifoni e marchingegni vari! Un filtro per l’acqua la renderà potabile. Ultimo, ma non meno importante per una vita sufficientemente “europea”, un pannello solare a batteria, per produrre quel minimo di corrente elettrica per far funzionare un computer e due lampadine. Pare che il costo di tutto questo possa rientrare nei 5-6 mila euro!

I ragazzi di Pan Amat mi dicono però che sarebbe bene che mi procurassi una moglie, per tenere pulita la casa, andare a prendere l’acqua, far da mangiare e magari darmi ancora qualche figlio… ma io non ho le vacche, e nemmeno i soldi, e sono già sposato! Mi sa che dovrò cambiare progetti!

Il fatto è che loro, i “dinka”, ancorché cattolici o cristiani, sono innanzi tutto poligami, ed in secondo luogo la donna vale solo in quanto può produrre figli, ma soprattutto figlie, che, quando arrivano alla maturità fisica possono essere “vendute” per venti, trenta, cinquanta vacche del valore in media di settecento dollari l’una.
John, un giovane maestro, ha avuto, dicono i fratelli di lei, ma gli interessati negano, un rapporto con una ragazza di quindici anni: la ragazza è stata allontanata e lui licenziato dalla scuola, e ha dovuto pagare una bella somma alla famiglia di lei.
Noi stiamo a discutere sul “burqua-sì” o “burqua-no”… impicciandoci di usi, costumi e tradizioni per noi inconcepibili, ma per gli interessati assai importanti!

lunedì 13 dicembre 2010

I fuochi accesi vicino ai tucul, nessuna luce… un’altra dimensione

In questo fine settimana se ne sono andate le suore, la dottoressa Paola, che era qui da due anni e tanti altri. Feste, cene e lacrime a ripetizione. In questi posti di frontiera nascono amicizie molto simili a quelle estive, del mare o della montagna: ci si conosce, ci si frequenta, siamo sempre assolutamente solidali, ci si promette di frequentarsi anche dopo, in Europa, ma poi la nostra civiltà ci fa perdere le tracce uno dell’altro, travolti dalle pseudonecessità del correre quotidiano dietro al benessere.
Giovedì scorso ho avuto il colloquio conclusivo con suor Philippa, la direttrice delle scuole: a parte tutti i complimenti e ringraziamenti possibili, da parte sua e degli insegnanti che ho seguito, mi chiede di tornare per l’anno scolastico prossimo, da aprile a fine ottobre, per tenere corsi regolari: un secondo livello agli insegnanti della scuola superiore ed un primo livello a quelli della primaria. Non speravo tanto, anche se in cuor mio, penso di aver dato quanto potevo!

Anche a Pan Amat, la “scuoletta di periferia”, mi chiedono di tornare e stanno già lavorando per prepararmi un’aula di informatica in cui si possa anche proiettare, invece di andare nella capanna-scuola, frequentata abitualmente anche da asini, capre e pecore. Qui avrò bisogno dei personal computer portatili, perché consumano molto meno, e di un generatore un po’ più potente e magari a pannelli solari, con batteria, per risparmiare poi sulle spese di carburante e sul rumore infernale che accompagna ogni lezione.

Rifletto un momento su questo punto: portiamo dall’Europa, spesso e volentieri, cose veramente assurde, a pensarci bene. Ecco, il generatore. Ovvio, qui manca la corrente elettrica e regaliamo un generatore che consuma un litro di miscela ogni ora di accensione per 650W. Non pensiamo assolutamente che qui il carburante non c’è! Non ci sono le automobili e solo poche motociclette: il carburante si può comprare sì, ma a prezzi folli nelle bottigliette da mezzo litro della cocacola o della “soda”, ma in genere si va a Rumbek, ad 80 chilometri, con le taniche da 50 litri e costa poco più di un euro al litro, che per questa gente, per questi posti, è una cifra esorbitante.

Ma il bello è proprio la mancanza della corrente elettrica; una piccola torcia a dinamo, con ricarica manuale tipo macinino del caffè, consente di vagare nella notte per la savana: i fuochi accesi vicino ai tucul, nessuna luce e tanti animali… un’altra dimensione, umana, personale, intima.

domenica 12 dicembre 2010

STRUMENTAZIONE NECESSARIA A MAPUORDIT


Computer
·   PAN AMAT                           n.     6      notebook completi di Windows e Office (ENG)
·   Centro Pastorale                      n.     8      pc (possibilmente notebook)

Stampanti ed altre periferiche
·   Padri Comboniani                    n.     1      stampante laser
·   PAN AMAT                           n.     1      hub per rete locale (8 porte)
·   Centro Pastorale                      n.     1      stampante laser (in rete)
                                             n.     1      proiettore per pc
                                             n.     1      hub per rete locale (8 porte)

Memorie RAM
·   Apostoli di Gesù                      n.     1      notebook Toshiba Satellite S1800-654S (128)
                                             n.     1      notebook Toshiba Satellite 2250CDT (64)
·   PAN AMAT                           n.     1      RAM 1GB per desktop
                                             n.     1      RAM per notebook Acer (TM210-20010612-
                                                   s/n 9140R0120I12401E2ET)

Software
   ·TUTTI                                           Office in inglese per tutti (OpenOffice)
·   PAN AMAT                           n.     8-10 Licenze scuola di Windows XP (già registrate)
·   Centro Pastorale                      n.     8      Licenze scuola di Windows XP (già registrate)

Spare parts
·   Cavi                                        n.     20    cavi per rete locale (3-5-10m. – UTP6)
                                                   n.       3      cavi per monitor (per proiettori)
                                                   n.       1      grimpatrice per cavi rete
·   Screen                                    n.       1      per HP 560
·   Hard-disk                               n.       1      per notebook (minimo)
·   CD-ROM                               n.   500  con custodia per duplicazione software libero

Materiale elettrico
·   Vario                                      n.     20    ciabatte elettriche per alimentazione
                                                   n.     2      generatori da 1kw (magari solari!)
                                                   n.     2      batterie solari da 1kw

Cartucce per stampanti (b/n e colore)
            Laser                        
Apostoli           HP1018    / 
PanAmat 
            InkJet   
Apostoli            HP3650    /      HP840
Comboni          HP2250    /              

 N. 1 fascicolatrice ad anelli...


giovedì 9 dicembre 2010

Il Natale… arriva anche senza luminarie…

L’inizio della settimana è passato molto tranquillo, nella normalità dei lavori, della scuola, della mancanza assoluta di festeggiamenti per s. Ambrogio o per l’Immacolata, nella mancanza di vetrine illuminate, anzi nella mancanza di vetrine, di luminarie natalizie che fanno pensare a noi poveri occidentali opulenti che il Natale sia l’arrivo del regalo, della festa, della settimana bianca…
Qui ci si copre con un pezzo di stoffa la sera, quando il termometro scende sotto i 20°, e i neri hanno freddo, e di giorno si sopporta il caldo asciutto con sempre un po’ di vento che viene da nord, caldissimo, ma che rende sopportabili gli oltre 35° all’ombra ed i circa 50° al sole… Il Natale… arriva anche senza luminarie… ed è Natale perché il villaggio si svuota: tutti gli studenti “esterni” tornano ai loro villaggi di origine fino alla fine di marzo, i volontari stranieri se ne partono per evitare di essere qui nei momenti difficili del Referendum, rimangono solo pochi: un giovane medico italiano, una assistente franco-americana, una suora australiana ed una amministratrice australiana dell’ospedale.
Chi non “scappa” sono i missionari comboniani, e mi dispiace pensare che padre Daniele mi ha fatto venire con l’impegno di andarmene anche io entro la fine dell’anno… Mi sembra di scappare anche io!

domenica 5 dicembre 2010

Senza limiti di proprietà... il loro sorriso ed il loro “welcome”

Approfitto di una giornata senza impegni scolastici, tra le ultime lezioni di ieri e gli esami di domani in periferia, per aggregarmi a due personaggi che vengono accompagnati ad Yirol dall’autista dell’ospedale.
So che la strada è in pessime condizioni, ma ormai non piove in modo consistente da molti giorni, per cui il viaggio, ancorché caldissimo, si preannuncia interessante.
Yirol è una cittadina poco più grande di Mapuordit, ma molto più concentrata intorno al mercato ed all’ospedale, gestito dal Cuamm, associazione di medici italiani. C’è anche una grande comunità comboniana, con una chiesa nuova, spagnoleggiante, ma molto africana; il progetto è dello spagnolo padre Parladè, che ne è tuttora il parroco.
I due personaggi con cui faccio l’andata sono un comboniano ed una ex-suora comboninana che continua ad occuparsi di Sudan da Bolzano: lui è una valanga di parole, sempre molto concrete, anche discutibili nella forma e nella sostanza, lei lo sostituisce quando lui smette un momento… Al di là delle “illazioni” sono due persone veramente interessanti e importanti, visto che riescono a finanziare moltissime attività dell’ospedale ed anche qualcuna della comunità!

Ma oggi quello che conta è ciò che vedo lungo la strada! E’ come trovarsi in un parco naturale all’aperto, senza restrizioni, senza confini, senza limiti di proprietà (le reti metalliche di difesa le usano solo le missioni e le scuole, ossia gli occidentali).
In giro la campagna è infinita, interrotta solo da scarsi alberi, sempre molto grandi; grandi estensioni di sorgo, di mais bianco, e palude in cui vivono centinaia di trampolieri ed uccelli vari, grandi come le aquile, gli avvoltoi e i pellicani o piccoli come passerotti, ma coloratissimi… in qualche stagno una bella varietà di ninfee, in giro qualche famiglia di scimmiette, per strada un cadavere di iguana lungo oltre quasi due metri, e più in là il cadavere fresco di un vitellino poco più che neonato evidentemente morto di malattia…
Il sole è fortissimo, ma non c’è umidità, per cui si sopporta benissimo, molto meglio delle buche che sono veramente tantissime, e disposte che non si può evitare di traversarne quasi la metà… si tratta solo di decidere quale metà, se a sinistra o a destra…
L’altro aspetto stagionale del viaggio sono le molte mandrie di bovini che incrociamo o superiamo, che si stanno spostando dai “cattle camp” a zone meno aride. E i pastori che vedono la macchina fotografica vorrebbero essere fotografati, magari per farsi pagare qualcosa la foto…
Al mercato di Yirol compro i biscotti per i bambini di Pan Amat e per le mie merende del mattino, quando mi vengono le crisi di calo degli zuccheri: una trattativa di mezz’ora in due negozi per comprarne uno scatolone da 120 confezioni al prezzo di 12 euro…
Al ritorno sonnecchio grazie alla guida premurosa di Madit, arabo sudanese, famoso per come corre in auto e come le scassa durante la stagione delle piogge: non ci credo!


Ieri finisce ufficialmente il corso nella “scuoletta di periferia”, con gli esami sull’hardware e su Word. Impegno tremendo per tutti. Per un giorno puntuali, attentissimi, spaventati quasi dalla prova, forse ancor più degli insegnanti della scuola secondaria.
Finisce anche qui con quattro promossi e due consigliati di riprendere il prossimo anno, se ci sarò e se ci sarà il corso, dal primo livello, per migliorarsi senza fretta.
Anche qui valgono le considerazioni della scuola: purtroppo nessuno ha un computer e quindi nessuno può esercitarsi… Vedremo di provvedere, con l’aiuto di Dio e degli amici che vorranno aiutarci.
Durante gli esami sono anche venuti i giovani ad iscriversi al prossimo corso: sei ore alla settimana, per quattro settimane, al costo di 7 euro totali per conoscere un po’ di hardware e imparare ad usare Word. Ci sono ben nove iscritti!
Alla fine “soda” (ossia bibite in bottigliette di plastica da mezzo litro) per tutti, offerta dal “professor”. Contentissimi.
Dopo che sono andati via tutti, James, il responsabile del “quartiere”, mi invita nella sua capanna, anzi fuori, a mangiare il pesce fresco che al mattino è andato a prendere al fiume. Il solito rito: lavaggio delle mani con un po’ d’acqua, pentolino da cui prendere il pesce con il sugo, un piatto su cui appoggiarlo per mangiarlo un po’ per volta e alla fine lavaggio delle mani con anche il sapone!
Il pesce è squisito, il sugo pure, la moglie di James e le altre donne sono tutte prese per questo servizio di ospitalità degno di un principe… Cosa vuol dire il loro sorriso ed il loro “welcome”!