In questa settimana che precede la Settimana Santa sono voluto e dovuto
andare a fare un giro per le “classi di informatica” fatte e quelle da fare.
Armato di grande pazienza, non avendo altri mezzi a disposizione, ho fatto
ancora una volta il “mzungu africanizzato”: lo sono… Mi fa piacere e mi dà
anche gioia stare in mezzo a queste persone, a questa gente, sentirla parlare,
urlare, ridere… vedere come si stanno “modernizzando” attraverso l’uso di un
telefonino cinese anche da pochi soldi… vedere come l’”ITC” (tecnologia
dell’informazione e della comunicazione) sta invadendo anche la loro vita e
sta facendo superare loro il “gap” tecnologico, storico, artistico,
conoscitivo che li separa dal mondo occidentale.
Purtroppo questo non è solo un bene, visto che stanno imparando anche
le tecniche di mercato, le frodi fiscali (ma sempre a danno di altri
truffatori!) e tante altre cose poco buone che il mondo
capitalistico-finanziario insegna a noi e a loro…
Andare a Lira è solo questione di tempo: la strada è ottima, asfaltata
ed abbastanza larga, almeno fuori Kampala… Per uscire dalla città occorrono
sempre almeno 45-60 minuti, che in confronto all’eternità sono niente, ma su
un viaggio di 330 chilometri, spostano la media da quattro/cinque ore ad almeno
sei o sette…
Ripasso il Nilo a Karuma, dove c’è uno dei pochissimi ponti in Uganda,
(quello per cui mi sono svegliato all’improvviso nella notte in cui andavo a
Moyo…): oggi è giorno e l’effetto è inferiore; dopo il ponte sono aumentate e
di molto le scimmie che stanno sedute sul guard-rail aspettando che qualche
passante lanci loro da mangiare.
Poi ci si ferma per “una telefonata breve” in un piazzale di
rifornimento carburanti con un ristorante self-service e confezioni da
asporto, ed un piccolo supermercato stampo autogrill… La corsa alle toilette è
più che prevedibile, ed in effetti sono molte e tenute ai livelli minimi di
decenza… altro che lamentarsi delle nostre! Partito alle 10.30, arrivo alle 17
appena scoccate: fratel Gilberto è puntualissimo ad aspettarmi al “taxi-park”
ed a portarmi alla missione di Ngetta, dove per prima cosa, come in ogni
missione che si rispetti, c’è l’accoglienza con un caffè quasi all’italiana,
qualche frutto locale ed una doccia ristoratrice.
Programma di un giorno, il successivo, piuttosto intenso: saluto al
vescovo “che puzza di pecora”, appena incontrato a Kampala, giretto in città e
poi si torna a parlare con il responsabile della scuola tecnica per vedere se
ci sono novità, sentirsi dire che negli ultimi due anni sono passati un
centinaio di ragazzi ad imparare l’uso dei computer, e programmare un
aggiornamento dei pc per il prossimo giro. Pomeriggio con padre Cosimo,
responsabile del Centro Catechetico, ed il vescovo che passa ancora una volta
a salutarmi: la mattina era impegnatissimo e c’era stato solo il tempo per un
“ciao, passo a salutarti nel pomeriggio!”. Peccato che sia dimissionario per
ragioni di età…
Mercoledì mattina ho in programma il trasferimento a Kalongo, un villaggio
nella savana cresciuto grazie al dr. Giuseppe Ambrosoli, quello che lasciò
l’azienda di caramelle al miele più famosa al mondo, per andare “ad aiutarli a
casa loro”…
Il viaggio è buono: il taxi da 8 posti è confortevole, anche se i
passeggeri, con il conducente, sono una dozzina, la strada molto meno… Dopo
alcuni chilometri, a causa delle prime piogge, è già pieno di buche ed
attraversamenti di acqua. Il paesaggio è quello della Karamoja e del Sud Sudan:
piante basse, coltivazioni di kassava, poche papaye e banani, qualche mango e
qualche grande albero ogni tanto. Per il resto capre e mucche con la gobba,
come i bisonti, proprio come in Sud Sudan. Persone che camminano a piedi lungo
le strade, ricoperte dalla polvere dei pochi veicoli che passano senza
riguardo, e che sembra non si debbano fermare mai, dato che i villaggi di tucul
coperti con il sorgo, sono bassi e quasi invisibili all’occhio non esperto.
Per portare tutti a destinazione, si fanno giri e controgiri nella
savana, sotto un bel sole caldo (30 e passa gradi all’ombra): alla fine
impieghiamo 4 ore e mezzo percorrendo circa 150 chilometri… siamo nella media
dei 30 km/h… ma qui nessuno ha fretta!
Il villaggio di Kalongo, a ridosso di uno sperone roccioso che ricorda
Monselice, è relativamente piccolo, sviluppato lungo la strada principale e le
poche adiacenti. Il centro è proprio l’ospedale, con a fianco la parrocchia e
la missione comboniana.
Qui trovo due dei tre padri che ci lavorano: uno, purtroppo, è mancato
a gennaio e uno è in Italia per le vacanze triennali. Padre Ramon, che viene
dall’Equador, mi ha chiesto di attivare una nuova “aula di informatica” nel centro
giovanile della parrocchia, come già fatto a Mapuordit e Yirol in Sud Sudan.
Ottima idea e locali disponibili senza nemmeno bisogno dei pannelli solari,
vista la connessione all’energia elettrica dell’ospedale 24 ore su 24.
I laptop li ho già disponibili dal progetto congolese di Nyantende,
sospeso fino a nuova data, ed ISF mi ha già dato un ok di massima…
Parliamo del progetto anche con padre Guido Miotti, parroco,
valtellinese puro sangue, di Caspoggio (Val Malenco), dice di avere 87 anni, ma
è più vivace di me; padre Ramon dice che non mangia e non capisce di cosa viva,
ma forse è proprio in una sana e contenuta alimentazione il suo segreto: lunga
vita!
Visto che il progetto raggiunge si e no i 5.000 euro, decidiamo di
farlo fare solo a “Informatici Senza Frontiere” e parrocchia comboniana.
Mercoledì mattina riparto presto, alle 8.30, per tornare a Kampala,
passando da Gulu, un po’ per fare una strada diversa e vedere un nuovo
paesaggio, un po’ per incontrare un amico conosciuto in Sud Sudan diversi anni
fa, e che è di rientro per Pasqua a casa.
La mia idea di una nuova strada e di un nuovo paesaggio è subito
ridimensionata dall’autista del piccolo bus: ripercorre la strada verso Lira,
fino a Pader e Rogkoko, quindi per almeno un’ottantina di chilometri, di cui
una trentina di strada di tipo sud-sudanese… molte buche con intorno pezzi di
strada battuta…
Dopo Rogkoko si gira a destra in direzione di Gulu, che si raggiunge
dopo le 13, dopo aver soccorso un’auto in panne ed averla trainata per una
cinquantina di chilometri con almeno cinque “strappi” della corda di traino…
Anche questi sono “colori africani”: nessuno che si sia lamentato, solo
qualche commento ironico e molte risate. La solidarietà è anche questo:
condividere i problemi degli altri e trovarne insieme una soluzione nella calma
e nella gioia. Alla faccia del nostro egoismo.
Arrivato a Gulu, ho giusto il tempo di trovare un bus che parte alle
tre e mezzo, fare un pranzo velocissimo (carne di capra e patatine fritte) e le
quattro chiacchiere di rito dopo tanto tempo che non ci si vede.
Il viaggio verso Kampala (320 chilometri) promette bene, anche se l’ora
è caldissima, ed il sole si fa proprio sentire… ma il traffico è intenso e la
strada, finita due anni fa è già assolutamente insufficiente.
Arriviamo alla periferia di Kampala verso le 20… Gli ultimi chilometri,
dalla periferia alla stazione bus, ci impegnano per due ore! Scendo dal bus
con il sedere che si rifiuta di stare seduto (quasi dodici ore totali di bus da
stamattina): prendo una moto e arrivo a Mbuya in un quarto d’ora.
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