La
settimana centrale del nostro viaggio attraverso l’Uganda
“informatizzata” da me e con il sogno di tanti bambini a scuola
invece che per strada o per le campagne, è piuttosto tranquilla,
almeno finché
si viaggia da Kampala a Kasaala ed a Kalongo. Inutile parlare delle
accoglienze in ogni posto!
Un
ricordo particolare alla scuola secondaria di Kasaala, il “St.
Daniele Comboni College” da me informatizzato e che ora ospita come
studente (bravissima anche se in ritardo!) la nostra Jemma.
A
Kalongo siamo accolti addirittura al bus da tutti gli allievi dello
scorso anno, di Nicole e miei, e con cui ci incontreremo l’indomani.
Jemma
organizza il programma, che prevede anche una notte nel villaggio di
sua sorella ed una breve puntata alla tomba dei suoi genitori.
Inutile
dire che le sorelle, i figli di Jemma, e tutti gli altri bambini ci
accolgono nel villaggio degli “hat” (i cosiddetti “tucul”)
con il cappello di paglia e i muri di fango, con una accoglienza
strepitosa. Jemma ci prepara per la cena una pentola di spaghetti al
sugo, che ci vengono serviti intorno al fuoco (al villaggio non c’è
la luce e nemmeno i bagni), in un piatto e le scuse perché
non ci sono forchette: ci si lavano le mani e si usano quelle…
Dopo
una serata di parole intorno al fuoco, si va a nanna presto e ci si
sveglierà prestissimo…
Si
deve andare alla tomba dei genitori di Jemma e poi rientrare a
Kalongo. Giro non da poco con le strade disastrate e la mancanza di
trasporti…
Con
un po’ di fatica, qualche corsa in moto in tre per moto, una lunga
attesa in un villaggio dove solo una signora è disposta a farci un
pollo arrosto e un po’ di riso, e dove padre Ramon arriva con tre
ore di ritardo a prelevarci per riportarci alla magione, riusciamo a
tornare a Kalongo per pernottare dagli amici comboniani e da cui
ripartiremo la mattina dopo alle 4.00 per andare a 150 km di
distanza, a Gulu, a prendere la “coincidenza” per Moyo che parte
alle 13. E su questi numeri ogni commento sarebbe superfluo, se non
succedesse che dopo mezz’ora di viaggio, ancora notte fonda,
rimaniamo bloccati dal fango per quasi due ore! Ovviamente dopo si
viaggia con prudenza eccessiva, che sbocca in una sosta in piena
campagna, tra Kitgum e Gulu, per la fine del carburante, da me
preventivata poco dopo la ripartenza dal fango…
Arriviamo
alla “coincidenza” praticamente sul filo di lana! Scendiamo dal
primo bus per salire sul secondo, che ci porterà a Moyo in circa sei
ore, ma con il fatidico ferry-boat sul Nilo… Dopo oltre quattordici
ore di viaggio riusciamo a raggiungere la nostra meta imperturbabili,
distrutti e maleodoranti. Salutiamo gli ospiti e andiamo a lavarci,
riposare e prepararci per una meritata cena!
La
domenica, finalmente, e siamo tutti d’accordo, si riposa!!! Lunedì
avremo un’altra giornata di emozioni e fatiche: il trasferimento a
Palorinya, circa 40 chilometri, per andare a visitare il “campo
profughi” in cui vivono 200.000 sud-sudanesi scappati dalla guerra
civile… Tra questi, alcuni miei amici con cui avevo lavorato o che
avevo istruito in informatica, nella zona di confine, nel 2012,
quindi sette anni fa!
Lunedi
mattina il buon fratel Erich, altoatesino di cittadinanza germanica,
con cui mi guardo bene dal parlare tedesco, ci viene a prendere a
Moyo e ci porta fino al Centro Comboniano in pieno “campo
profughi”. Veniamo rifocillati dal breve viaggio e padre Jesus,
altro Comboniano con cui ci si conosce
da vario tempo e varie esperienze, ci porta a fare un primo giro nei
dintorni, tra le “quasi-parrocchiette” vicine al centro e ci
racconta ciò che i comboniani stanno facendo per assistere la
popolazione cattolica proveniente dal paese vicino, ma che non ha
bisogni impellenti di assistenza: non hanno attraversato il
Mediterraneo, ma solo un finto confine tra due paesi cosiddetti amici
e che hanno interessi reciproci in entrambi…
Dopo
un allegro e buon pranzo in compagnia, Fratel Erich ci riprende in
custodia e ci fa fare un lungo giro tra le campagne, aride, ma non
troppo ingiallite dal caldo. Qua
piove spesso, tra le piccole casette, gli orti, la biancheria stesa
e i piccoli “shop” famigliari in cui ognuno vende ciò che
produce come piccolo surplus dal suo orticello, proprio per
controbilanciare qualche piccola necessità diversa. Per altre spese
i rifugiati si sono organizzati in un piccolo “centro commerciale”
in cui fanno arrivare da Moyo o da Gulu ciò che altrimenti qui non
si troverebbe.
La
soluzione ugandese per i rifugiati sud-sudanesi mi sembra alquanto
logica, anche se avvallata da una situazione di “guerra pacifica”
tra i capi delle due nazioni, amici-nemici che si guardano in
cagnesco, ma per coprire i loro affari, raramente puliti, si
controllano a vicenda. Ovviamente per il Sud Sudan la cosa è più
difficile, ma uno sgambetto ogni tanto lo si fa…
La
soluzione per i rifugiati è stata anche semplice, visto che è a
pochissimi chilometri dal confine tra i due Paesi: se succede
qualcosa, basta inviare qualche centinaio di soldati e rimandare
indietro tutti in meno di 24 ore!
Così
sono tutti tranquilli. Lavorano, hanno una piccola casa, coltivano
per se e per vendere qualcosa, si sono fatti scuole e chiese ed
hanno, dalla società internazionale anche un piccolo ospedale da
campo ogni 50.000 rifugiati.
Il
primo paese vicino è Moyo, come detto a circa 40
chilometri, le strade sono pessime e ci arrivano solo poche auto
fuoristrada… Per scappare dovrebbero attraversare il Nilo, o
andare
in direzione Congo… Verso il Sud Sudan i soldati presidiano
serenamente ogni centimetro di confine.
Accettare
l’altro significa per l’Uganda, paese molto vasto ed a bassissima
intensità abitativa, dare lavoro a gente che nemmeno lo cerca, ma
che è obbligata ad averlo, ed importare manodopera dall’estero in
contrappeso alla massiccia presenza militare ugandese in diversi
paesi africani.
Alla
fine si può dire che, tra
ugandesi e sud-sudanesi, la situazione sembra molto tranquilla e
pacifica, nonostante i numeri siano veramente grandi.
Il
“botto”? Beh… la visita ad un campo profughi di 200.000
persone, in Africa, gestito con il “cuore generoso delle persone
per altre persone”, agli occhi di cittadini come noi, la cui
“società” appoggia i respingimenti, “chiede e non chiude” i
lager, mi sembra una bella
lezione!
Il
nostro viaggio in giro per l’Uganda finisce qui, salvo ritorno a
Kampala, e partenza, prima della quale incontreremo ancora una volta
Jackie e Richard, i
genitori di Bridget Evalyne, per un riassunto del viaggio e degli
incontri avuti.
Io
proseguo il lavoro qui ancora per un paio di settimane. A metà
settembre mi trasferirò per circa un mese in un villaggio sperduto
al nord dell’Altopiano Etiopico, Gilgel Beles, dove, con Fabrizio
Dainelli, collega toscano di Informatici Senza Frontiere, faremo un
corso di informatica ad un gruppo di giovani che dovrebbero attivare
una “scuola di informatica” nel centro giovanile della parrocchia
comboniana.
R
I C O R D A T E !!!
Il
20
settembre,
è uscito “La
Grotta della Pace”,
un romanzo per ragazzi (9-16 anni) a
firma di Roberto Morgese e mia,
ambientato durante la guerra civile in Sud Sudan, conclusasi almeno
nominalmente, alla scorsa Pasqua. Editore “Ediz.
Messaggero Padova”.
Costo
euro 16,50.
Prenotatelo
da noi: ve lo spediremo senza ulteriori spese, direttamente, a
maggior vantaggio della Fondazione. Ogni rimborso delle spese sarà
ovviamente gradito e devoluto a copertura della spedizione.
IL
RICAVATO SARA’ COMPLETAMENTE DEVOLUTO ALLA
“FONDAZIONE
BRIDGET EVALYNE”
Attraverso
i soliti canali IBAN (causale “Grotta della Pace”)
Paolo
MERLO IT47N 06175 14110 000009 206470
BOZEN
SOLIDALE IT77N 08081 11610 000306 006043