A
Kalongo mi ritrovo quasi come ero di casa a Mapuordit otto anni fa o
a Yirol, appena due anni fa: il paesaggio, fatto di savana, rocce che
si innalzano come girasoli verso il cielo, pochi alberi ma importanti
per l’ombra che fanno, per gli oli che danno, per come comunicano
che intorno qualcuno ci vive, ma anche e soprattutto per la loro
imponente altezza…
Molti
sono anche “famosi”… come lo “shea tree”, che con le sue
“nocciole” fornisce un olio ottimo e direttamente utilizzabile in
cucina, ma anche come olio cosmetico, e qui donne e uomini hanno la
pelle liscia e vellutata proprio grazie agli oli naturali che
utilizzano dopo ogni doccia (e ne fanno ben più di una al giorno!).
A
Kalongo mi fermo giusto tre settimane, perché il corso deve finire
prima dell’inizio delle scuole. Sono arrivato di sabato e di sabato
riparto: quindi solo due week end di riposo annunciato, ma mai
mantenuto!
In
realtà va un ulteriore grazie a padre Ramon ed a Nicole che si sono
coalizzati con un medico italiano dell’ospedale, qui da un anno con
la famiglia ed in procinto di rientrare, per farci godere questo
posto anche da un punto di vista turistico. Ci vogliono far
innamorare di Kalongo… e ci riescono!
Il
primo week end di vacanza, a causa degli impegni religiosi di padre
Ramon,
lo
trascorriamo lavorando sabato sui pc della scuola per aggiornarli
definitiva-mente e poi domenica in giro con lui che deve dire almeno
tre messe in posti diversi. Conosciamo così una parte interessante
della zona: piena savana, culture di patate, cotone, kassava,
girasoli, mais bianco… e rocce, e alberi grandi e solitari, che,
nella loro altezza, sembrano cercare qualcuno lontano con cui
parlare…
La
gente, gli Acholi, sono un’etnia molto bella, quasi come i
burkinabé del Burkina Faso… Persone simpatiche e cordiali a cui
basta un saluto, “apwoyo”, per farteli amici… Le messe sono
tutte piene: una messa al mese circa, per poter visitare tutte le
comunità della parrocchia, diventa un momento di vita insieme,
pregando sì, ma anche cantando e suonando e ballando e trovandosi
tutti a condividere la fede cristiana che hanno raggiunto.
Il
sabato successivo padre Ramon, con noi, le figlie del medico e alcuni
ragazzi della scuola infermieristica, organizza la gita alla
“collina” che domina come uno sperone roccioso Kalongo e il suo
ospedale, ricordandoci della precarietà della vita con il suo
sovrastare incombente e dietro a cui vanno a dormire, a tempo debito,
il sole e la luna, lasciandoci peraltro in un buio che ci fa contare
miliardi di stelle ed osservare nitidamente la “via lattea”
(milk-way).
Dall’alto
la vista panoramica si estende per decine di chilometri su ogni lato,
in una mattina soleggiata ma con un po’ di foschia, e tanto vento
in cima che ci fa godere anche il sole fortissimo di questa stagione.
Il
pomeriggio/sera è dedicato alla visita ad un nuovo “ristorante”
aperto da una dipendente dell’ospedale che deve guadagnare di più
per pagare le tasse scolastiche ai due figli che sono ormai grandi e
costano molto sia per la scuola sia per il mantenimento fuori casa.
Mentre
andiamo verso il ristorante arriva la notizia che al mattino, in Sud
Sudan, a Yirol, è finito nel lago, contro la riva, l’aereo
proveniente da Juba… Si contano 20 morti, tra cui i tre membri
dell’equipaggio, e tre sopravvissuti: uno di questi è un giovane
medico italiano del CUAMM, con cui la mia associazione (ISF
Informatici Senza Frontiere) collabora strettamente, alla sua prima
esperienza in Africa… ora è appena rientrato in Italia dopo essere
stato operato a Nairobi. Una mia amica ugandese, che lavora proprio
ad Yirol come insegnante degli infermieri, mi dice per telefono che
avrebbe dovuto prendere anche lei l’aereo, con altri colleghi
italiani: un ritardo li ha salvati tutti…
Ho
preso quel volo, in direzione Juba, due anni fa, e scrissi che mi
sentivo sull’aereo di “Piedone, l’africano”, alias Bud
Spencer, alias Carlo Pedersoli: scrissi che ero tranquillo solo
perché in caso estremo sarei forse riuscito a maneggiare quel tipo
di velivolo antidiluviano, tanto simile al Piper idrovolante con cui
ho fatto, da giovanissimo, scuola di pilotaggio sul lago di Como.
E’
la vita… anche i “volontari” rischiano ogni tanto, magari senza
saperlo, magari facendo finta di nulla, perché tanto siamo di
passaggio ed è bello passare la vita così…
La
domenica ancora a spasso per le messe di padre Ramon e pranzo
“etnico”, con le mani, a casa di un catechista. Nicole è alla
prova del fuoco e del cuoco!
Se
la cava benissimo e senza fatica: è veramente un ottimo acquisto per
ISF e per l’Africa! Lei si sente a casa dal primo giorno, anche se
alcune emozioni, ad esempio con i bambini, non riesce proprio a
nasconderle…
Ultima
settimana che corre senza tregua: giovedì gli esami, venerdì
pomeriggio la consegna dei certificati e sabato mattina sveglia
all’alba! La banda giovanile ha deciso di andare a vedere il Parco
Nazionale di Marchinson Falls, per cui si parte alle 6. Io mi faccio
accompagnare a Gulu e di lì proseguirò per Kampala.
Loro
rientreranno domenica mattina a Gulu, dopo un breve safari
fotografico, e Nicole mi raggiungerà a Kampala alla sera.
“Anche
questa è fatta!” ripeteva Totò… ecco…
Un bellissima soddisfazione scoprire di avere trovato una collega
giovane che si è innamorata di Africa, Kalongo, ospedale comboniano,
bambini, ambiente e che quindi fa sperare che il Progetto
Informafrica abbia ancora lunga vita.
Ma soddisfazione ancora maggiore quando, dopo un paio di giorni, ci
telefonano gli allievi di Kalongo per dirci che dal prossimo lunedì,
ad una settimana dalla fine del nostro corso, inizieranno una serie
di corsi ai giovani della cittadina!
Nicole parte felice ed io rimango, ancora più felice, perché i
progetti sono molti e spero di riuscire a portarne a termine ancora
qualcuno!
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