Progetto INFORMAFRICA


Ridurre il "digital divide" portando la nostra CONOSCENZA
in modo ETICO e RESPONSABILE, ma non i nostri "modelli di vita"

sabato 29 settembre 2018

7 – E’ la vita...




A Kalongo mi ritrovo quasi come ero di casa a Mapuordit otto anni fa o a Yirol, appena due anni fa: il paesaggio, fatto di savana, rocce che si innalzano come girasoli verso il cielo, pochi alberi ma importanti per l’ombra che fanno, per gli oli che danno, per come comunicano che intorno qualcuno ci vive, ma anche e soprattutto per la loro imponente altezza…
Molti sono anche “famosi”… come lo “shea tree”, che con le sue “nocciole” fornisce un olio ottimo e direttamente utilizzabile in cucina, ma anche come olio cosmetico, e qui donne e uomini hanno la pelle liscia e vellutata proprio grazie agli oli naturali che utilizzano dopo ogni doccia (e ne fanno ben più di una al giorno!).

A Kalongo mi fermo giusto tre settimane, perché il corso deve finire prima dell’inizio delle scuole. Sono arrivato di sabato e di sabato riparto: quindi solo due week end di riposo annunciato, ma mai mantenuto!
In realtà va un ulteriore grazie a padre Ramon ed a Nicole che si sono coalizzati con un medico italiano dell’ospedale, qui da un anno con la famiglia ed in procinto di rientrare, per farci godere questo posto anche da un punto di vista turistico. Ci vogliono far innamorare di Kalongo… e ci riescono!

Il primo week end di vacanza, a causa degli impegni religiosi di padre Ramon,
lo trascorriamo lavorando sabato sui pc della scuola per aggiornarli definitiva-mente e poi domenica in giro con lui che deve dire almeno tre messe in posti diversi. Conosciamo così una parte interessante della zona: piena savana, culture di patate, cotone, kassava, girasoli, mais bianco… e rocce, e alberi grandi e solitari, che, nella loro altezza, sembrano cercare qualcuno lontano con cui parlare…
La gente, gli Acholi, sono un’etnia molto bella, quasi come i burkinabé del Burkina Faso… Persone simpatiche e cordiali a cui basta un saluto, “apwoyo”, per farteli amici… Le messe sono tutte piene: una messa al mese circa, per poter visitare tutte le comunità della parrocchia, diventa un momento di vita insieme, pregando sì, ma anche cantando e suonando e ballando e trovandosi tutti a condividere la fede cristiana che hanno raggiunto.

Il sabato successivo padre Ramon, con noi, le figlie del medico e alcuni ragazzi della scuola infermieristica, organizza la gita alla “collina” che domina come uno sperone roccioso Kalongo e il suo ospedale, ricordandoci della precarietà della vita con il suo sovrastare incombente e dietro a cui vanno a dormire, a tempo debito, il sole e la luna, lasciandoci peraltro in un buio che ci fa contare miliardi di stelle ed osservare nitidamente la “via lattea” (milk-way).
Dall’alto la vista panoramica si estende per decine di chilometri su ogni lato, in una mattina soleggiata ma con un po’ di foschia, e tanto vento in cima che ci fa godere anche il sole fortissimo di questa stagione.

Il pomeriggio/sera è dedicato alla visita ad un nuovo “ristorante” aperto da una dipendente dell’ospedale che deve guadagnare di più per pagare le tasse scolastiche ai due figli che sono ormai grandi e costano molto sia per la scuola sia per il mantenimento fuori casa.

Mentre andiamo verso il ristorante arriva la notizia che al mattino, in Sud Sudan, a Yirol, è finito nel lago, contro la riva, l’aereo proveniente da Juba… Si contano 20 morti, tra cui i tre membri dell’equipaggio, e tre sopravvissuti: uno di questi è un giovane medico italiano del CUAMM, con cui la mia associazione (ISF Informatici Senza Frontiere) collabora strettamente, alla sua prima esperienza in Africa… ora è appena rientrato in Italia dopo essere stato operato a Nairobi. Una mia amica ugandese, che lavora proprio ad Yirol come insegnante degli infermieri, mi dice per telefono che avrebbe dovuto prendere anche lei l’aereo, con altri colleghi italiani: un ritardo li ha salvati tutti…
Ho preso quel volo, in direzione Juba, due anni fa, e scrissi che mi sentivo sull’aereo di “Piedone, l’africano”, alias Bud Spencer, alias Carlo Pedersoli: scrissi che ero tranquillo solo perché in caso estremo sarei forse riuscito a maneggiare quel tipo di velivolo antidiluviano, tanto simile al Piper idrovolante con cui ho fatto, da giovanissimo, scuola di pilotaggio sul lago di Como.
E’ la vita… anche i “volontari” rischiano ogni tanto, magari senza saperlo, magari facendo finta di nulla, perché tanto siamo di passaggio ed è bello passare la vita così…

La domenica ancora a spasso per le messe di padre Ramon e pranzo “etnico”, con le mani, a casa di un catechista. Nicole è alla prova del fuoco e del cuoco!
Se la cava benissimo e senza fatica: è veramente un ottimo acquisto per ISF e per l’Africa! Lei si sente a casa dal primo giorno, anche se alcune emozioni, ad esempio con i bambini, non riesce proprio a nasconderle…

Ultima settimana che corre senza tregua: giovedì gli esami, venerdì pomeriggio la consegna dei certificati e sabato mattina sveglia all’alba! La banda giovanile ha deciso di andare a vedere il Parco Nazionale di Marchinson Falls, per cui si parte alle 6. Io mi faccio accompagnare a Gulu e di lì proseguirò per Kampala.
Loro rientreranno domenica mattina a Gulu, dopo un breve safari fotografico, e Nicole mi raggiungerà a Kampala alla sera.

Anche questa è fatta!” ripeteva Totò… ecco…
Un bellissima soddisfazione scoprire di avere trovato una collega giovane che si è innamorata di Africa, Kalongo, ospedale comboniano, bambini, ambiente e che quindi fa sperare che il Progetto Informafrica abbia ancora lunga vita.
Ma soddisfazione ancora maggiore quando, dopo un paio di giorni, ci telefonano gli allievi di Kalongo per dirci che dal prossimo lunedì, ad una settimana dalla fine del nostro corso, inizieranno una serie di corsi ai giovani della cittadina!
Nicole parte felice ed io rimango, ancora più felice, perché i progetti sono molti e spero di riuscire a portarne a termine ancora qualcuno!



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mercoledì 12 settembre 2018

6 – Nuovo viaggio, nuove esperienze




Sono in Uganda già da tre settimane e solo oggi riesco a trovare il tempo di raccontare, a me stesso, ai miei nipotini ed a tutti i miei amici che, sapendomi qua, mi sollecitano a dare notizie e spunti per immaginare quanto, per i più svariati motivi, non possono vivere in prima persona, anche se poi partecipano anche generosamente alle mie “avventure” nella creazione di qualcosa di utile per questi popoli che sono costretti a fare della propria povertà una virtù ed un “modello di vita solidaristica” che noi non sappiamo più nemmeno immaginare.

Un piccolo episodio alla Messa. Ad un bimbo cade una caramella e si rompe. Dopo un po’ un bimbo dalla fila accanto vede la caramella rotta e ne raccoglie il pezzo più grande: al primo momento fa per metterselo in bocca, ma cambia subito idea e lo da al bimbo a cui era caduta; la mamma di quest’ultimo raccoglie l’altro pezzo e lo da al bimbo che ha raccolto il primo. Bravo il bimbo e brava la mamma! Africa...

Il viaggio è andato bene, come di norma, salvo un ritardo di un’ora e mezzo nella partenza da Fiumicino e relativo ritardo all’arrivo al Cairo. Ho aspettato un’ora e mezzo di meno al Cairo… Visione positiva delle cose, come nella migliore tradizione africana!
Unica variante sul viaggio: alle 4 del mattino della domenica di arrivo, andando dall’aeroporto a Kampala, il taxi che mi portava è rimasto senza carburante, dopo aver superato almeno sei distributori aperti… Attesa di circa venti minuti sul taxi, finché il driver non è tornato, su un moto-taxi, con il carburante…
Tanto dovevo solo andare a dormire…

I primi giorni li trascorro a Kampala, per organizzare quanto deve ancora essere portato a Kalongo per rifinire ed attivare l’aula di computer della parrocchia che l’ecuadoregno padre Ramon ha voluto per raccogliere ed educare i giovani della piccola cittadina del nord, cresciuta moltissimo dopo la nascita del dispensario comboniano, nel 1934.
Devo anche attendere l’arrivo di una neofita dell’Africa: Nicole, giovane informatica pisana, che ha chiesto ad Informatici Senza Frontiere di fare, a sue spese, una prima esperienza con uno di noi, maggiorenne e vaccinato a climi, usi e costumi diversi…

Kalongo ci attende. Al margine della Karamoja, questo piccolo centro non supera le dimensioni di un villaggio, ed è costruito lungo tre direttrici che si incontrano davanti al viale di ingresso a quello che era il “dispensario” del 1934, segno evidente che il villaggio si è espanso dopo la nascita dell’ospedale stesso, ed in maniera assolutamente ordinata.
All’inizio degli anni ‘50, il missionario che dirigeva il locale dispensario, sentito che Giuseppe Ambrosoli, studente nel seminario comboniano, medico, in procinto di diventare sacerdote, desiderava esercitare la professione in Africa, gli chiede di venire a lavorare come medico a Kalongo. Il padre comboniano chiede al vescovo di Milano, all’epoca mons. Montini, di accelerare i tempi per il sacerdozio di padre Giuseppe ed in tre mesi, nel 1955, riesce ad ottenere la consacrazione e l’anno dopo la partenza per la terra degli Acholi (Gulu e nord-est dell’Uganda).
Padre Ambrosoli, figlio del fondatore della fabbrica di caramelle al miele, aveva deciso di donare la sua vita e i suoi studi alla cura degli ultimi, nello stile di padre Daniele Comboni; il medico-missionario, rimarrà in questo ospedale durante le varie guerre ugandesi fino a pochissimi giorni prima della sua morte, avvenuta per le conseguenze della guerra, a Lira, il 27 marzo 1987.
Storia veramente bella ed esemplare per tutti coloro, missionari e non, che si sentono chiamati “all’altro”.
La Chiesa lo ha già inserito nei “venerabili”, coloro che hanno dato esempio di vita santa e legata agli ideali evangelici.

Oggi questo splendido ospedale, riaperto nel 1989 grazie a padre Tocalli, con la continuazione dei finanziamenti da parte della famiglia Ambrosoli (e della omonima Fondazione) e di tanti altri, continua ad essere un fiore all’occhiello dei missionari comboniani, come gli altri due, altrettanto famosi, di Gulu (Lachor Hospital) e di Matanyi, in Karamoja.

Siamo venuti qui con Nicole, per allestire la nuova “computer room” di cui parlavo sopra e preparare alcuni giovani all’insegnamento dell’informatica, con un corso di tre settimane. Appena arrivati siamo stati presentati ai volontari italiani che lavorano nell’ospedale e siamo stati coinvolti anche qui per cercare soluzioni e miglioramenti informativi. Informatici Senza Frontiere ha realizzato un pacchetto software proprio sulla gestione ospedaliera e lo ha appena revisionato con la consulenza e l’analisi dell’associazione “CUAMM, medici per l’Africa” di Padova. Vedremo cosa si può fare, ma sarebbe una cosa bellissima tornare qui per dedicarsi a questo tipo di applicazione!

Questo dell’aula di informatica a Kalongo è il primo lavoro che farò nei tre mesi di permanenza in Uganda. Poi tornerò alla scuola secondaria di Rushere, per vedere come funziona ed a Bukunda per i passi successivi alla costruzione della stessa, ormai terminata.

Non temete, Amici!
Conto sempre sulla generosità di tutti e vi chiederò ancora aiuto, per questa scuola e per altri progetti che si stanno materializzando: un’altra scuola, un orfanotrofio e così via… Questo è ciò di cui la gente di qui ha bisogno, questi sono gli unici motivi per cui verrebbero via di qua!

Da qualche tempo, con qualche amico, stiamo pensando di costituire una Associazione che ci consenta di far detrarre dalle tasse tutte le offerte che ci arrivano, ovviamente escludendo gli importi minimi. In questo modo sarebbe possibile anche arrivare a “mantenere agli studi” alcuni tra i ragazzi più meritevoli con cifre piuttosto esigue….
Gradirei che ognuno di voi che leggete queste note mi esprimesse il suo parere e il suo consiglio. Inutile dire che questa idea va oltre la mia associazione ad ISF, con cui non ci saranno possibilità di conflitto, in quanto questa associazione si occuperebbe di aiutare direttamente i ragazzi studenti e solo nelle scuole primarie e secondarie.



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