Quest'anno 2016 si preannuncia denso di viaggi e missioni : dopo i primi due mesi trascorsi in Sud Sudan e un mese e mezzo in Italia, eccomi di nuovo in volo verso l'Africa, per la prima volta verso il Congo, nono paese in cui mi reco in questo continente grande come l'America del nord, più l'Europa Occidentale più un'abbondante parte di Asia… Mi fermerò qui fin verso la fine di maggio : un mese completo per fare un corso sul foglio elettronico a medici ed amministrativi di un ospedale pediatrico a circa quaranta chilometri dalla capitale Kinshasa.
Il progetto,
delle associazioni Agape e “Hub for Kimbondo” di Roma, e
appoggiato da Informatici Senza Frontiere, di cui faccio
parte, rientra nello sviluppo tecnologico di questo ospedale.
L'Ospedale Pediatrico
di Kimbondo è nato negli anni '80 come piccolo dispensario ad
opera della dr.ssa Laura Perna, mancata di recente, senese di
adozione, e si è poi sviluppato come accoglienza ai bambini
abbandonati ed ammalati, poi ai giovani portatori di handicap di ogni
tipo, ed ora, con l'opera che continua sotto la direzione di due
missionari « claretiani », padre Hugo, cileno, e padre
Victor, congolese, si sta ulteriormente sviluppando con reparti di
chirurgia, odontoiatria, neonatologia, psicopedagogia,
telemedicina, sempre rivolti ai bimbi ed alle loro problematiche.
Lavorano qui come dipendenti, oltre duecento persone, quasi tutte
locali, e una quindicina di volontari di svariate nazionalità,
in nome di diverse associazioni che aiutano questa opera.
Prima di partire
avevo quasi paura di dover vivere nella capitale, che conta oltre
dieci milioni di abitanti, contrariamente alla mia “abitudine”
alla vita tranquilla nei villaggi. Quando, alle 4 del mattino di
sabato sono arrivato all'aeroporto, ho trovato una valigia un
meno, ovviamente quella dei computer, ma un padre Hugo in più… il
“volo risparmioso” lo ha costretto a venire in piena notte…
La valigia, per
la cronaca, ci è stata riconsegnata il lunedì, quasi integra e
bella impacchettata. Manca una ruota: ho trovato le viti dentro la
valigia… l'hanno smontata e mi hanno rimesso dentro le viti,
attraverso il buco che si è creato… Deve essere stato come un “pit
stop” della Formula 1… Fantastico!
La prima sorpresa,
dopo la valigia, è stata che Kimbondo non è un quartiere di
Kinshasa, ma è una cittadina a se stante, addirittura in un'altra
diocesi.
L'ospedale, con
tutto il suo grande comprensorio, è su una bella collina affacciata
ad una verde valle volta ad ovest, con il sole che nasce alle spalle
della struttura e tramonta in faccia, con i “solitamente splendidi”
tramonti africani.
Vivo quindi come in
un villaggio inerpicato su diversi livelli: in cima i reparti e gli
uffici; al centro del pendio la chiesa aperta, altri reparti, le sale
di riunioni e la sala in cui si svolgeranno i corsi; in basso le
camere per gli ospiti e alcuni volontari, e il refettorio.
I primi giorni
era caldissimo e, perdurando la stagione “umida” o “delle
piogge”, l'umidità è perennemente sopra il 90%. Durante la
settimana il caldo è calato e ora si sta bene di giorno e
freschini di notte. Ottimo. Niente di che: il tempo fa sempre come
vuole, e noi ci adattiamo, anche se, per scaramanzia, troppo spesso
ci affidiamo ai maghi del meteo.
La prima settimana è
trascorsa tra l'organizzazione, l'ambientamento, la ricerca
delle connessioni con il resto del mondo e l'inizio del corso.
La domenica l'abbiamo
spesa per conoscere il posto, vedere i reparti, andare alla messa:
due ore di danze e canti con medici, infermieri, educatori, volontari
e moltissimi dei bimbi ospiti, con tutte le loro infermità, le loro
ferite fisiche e la loro gioia di essere insieme a tutti gli altri,
anche alla ricerca di una stretta di mano, di un sorriso, di un
“bonjour”…
Durante la messa di
venerdì, mentre una suora assistente leggeva le letture, un ragazzo
ha avuto un attacco di epilessia ed è caduto per terra. La suora ha
smesso di leggere, lo ha calmato e lo ha lasciato steso, mentre la
messa è continuata senza interruzione. Dopo pochi minuti è
arrivato un infermiere che ha “risvegliato” il ragazzo, lo ha
fatto mettere in piedi e se lo è riportato al reparto. Nessuna
sceneggiata, nemmeno una parola… solo i gesti necessari e tanta
dolcezza nel soccorso.
L'aula è stata
preparata non senza travaglio (qui si direbbe subito “da sala
parto”), ma tutto è bene quel che finisce bene: i pc sono
stati installati, il software pure, le “ciabatte” che accolgono
diversi tipi di attacchi si sono trovate… e la corrente elettrica,
almeno quella, c'è quasi sempre!
Il corso è iniziato:
primi tre giorni di rodaggio e da lunedì si farà sul serio…
Essendoci una buona
presenza di volontari italiani, oltre ad uno spagnolo ed al padre
Hugo, che mangiano con noi, la cucina è buona e ogni tanto si varia
anche, almeno alla sera. Manca la frutta, ma pare che sia molto
cara e scarsa, probabilmente anche per la stagione. La fame non si
soffre assolutamente e va bene così. C'è anche una “moka gigante”
per i “malati” del caffè italiano...