Avevo
letto qualche libro di Alex Zanotelli, e "Il Vangelo della
discarica" di Daniele Moschetti, i due padri comboniani che
da quasi venti anni, in successione, hanno portato la loro fede e il
loro aiuto in queste aree suburbane che ricordano la "Città
della Gioia" di Dominique La Pierre e di Madre Teresa.
Avevo
letto ed avevo pensato che mi sarebbe stato difficile resistere in
posti di questo genere: inutile dire, alla fine anche io sono come
tutti noi occidentali, abituati ad un minimo di pulizia vitale, di
ordine, di "urbanizzazione"; anche se sicuramente molti di
noi ricordano le periferie di Roma e Milano e tante altre città alla
fine degli anni '50 e negli anni '60: le baracche sotto i ponti della
via Cristoforo Colombo a Roma sono rimaste fino ai primi anni '70!
Vado
alla chiesa di St. John con il "matato", il bus pubblico,
dopo aver attraversato il mercato del centro di Nairobi,
seguendo con un certo timore un ragazzo che si era offerto di
portarmi alla stazione del bus stesso. Attraversiamo una parte ancora
in sviluppo della città, passiamo a fianco di Mahtere, la
baraccopoli più piccola: una vallata coperta da tetti di
lamiera sotto cui ci sono le "case" dei poveri. Pagano
l'affitto ai latifondisti che hanno comprato tutti i terreni
intorno alla città: da cinque a dieci euro al mese per 4/6 metri
quadrati di baracca senza niente altro che le pareti; il passaggio
tra le baracche consente il passaggio dei carretti che servono a
portare i "rifiuti recuperati" da una parte all'altra del
quartiere, ma questo è anche il passaggio degli scarichi a cielo
aperto... non esistono acqua e corrente elettrica... uomini e donne e
bambini e ragazzi vanno avanti e indietro commerciando qualcosa per
portare a casa il pranzo o la cena.
Ancora
un paio di chilometri e l'autista, che mi sta facendo da guida, mi
indica la strada dalla fermata alla chiesa di Kariobangi, altro
"slum".
Mi
fermo dai Comboniani per visitare la loro scuola, conosco suor
Orietta, che sta insegnando alle sue ragazze a fare le lasagne:
domani è la festa di san Daniele Comboni! E incontro Dalia, una
ragazza sarda, volontaria, anche lei socia di "Informatici Senza
Frontiere", in partenza per il Cile, che mi chiede di tenere
alcuni contatti che lei non ha potuto terminare...
Erik,
uno studente che collabora con i Comboniani, mi accompagnerà per
tutta la mattina in giro per Kariobangi e Korogocho, facendomi vedere
quanto hanno fatto i padri Alex e Daniele: la chiesa, che fa anche da
teatro, la casa di recupero dei ragazzi di strada, il
laboratorio artigianale, le due strade asfaltate...
Appena
entriamo nel "villaggio" (ci sono almeno un milione di
persone tra i due "slum" vicini) si sente l'odore della
miseria, prima nauseabondo, poi sempre più forte, acre, un insieme
di tutti gli odori insopportabili per i nostri delicati nasi,
abituati ai "deodoranti" delle metropolitane... e si
cammina facendo attenzione a non mettere le scarpe nel fango
putrido o nei rifiuti dei rifiuti... le capanne sono ora
attaccatissime ora distanti per lasciare il passo a qualche raro
camion.
La
gente vive cercando tra i rifiuti e vendendo ciò che trova, oppure
due pomodori, tre banane, i biscotti sciolti o le fette di
ananas o le pannocchie di mais cotte sulla brace, avvolti nella
plastica. Alcuni recuperano i sacchi di rifiuti dal fiume e separano
la plastica dall'"umido" ormai putrefatto dal caldo e dal
tempo, la plastica viene portata da una parte e il resto viene
riutilizzato o mandato definitivamente sul monte dei rifiuti, uno dei
tanti della città che conta in totale almeno dodici milioni di
abitanti, ma quattro sono quelli che vivono negli "slum".
Compare
qualche casa di quattro o cinque piani: affittare qui, sopra la
discarica, un appartamento costa cinquanta volte una baracca di
alluminio...
Erik
mi porta a visitare un "centro sociale": una scuola per
parrucchiere, un laboratorio di falegnameria che fabbrica
strumenti musicali (jambo, violini africani ad una sola corda ed
altri), una scuola-laboratorio di confezioni e di artigianato
tessile.
Dopo
tre ore fra le baracche si torna dai comboniani, alla chiesa di St.
John e un padre mi offre qualcosa da mangiare. Sono stanco ed
affamato, ma anche emozionato: ho visto qualcosa di veramente
impensabile nel 2012, con tutto il benessere che abbiamo e con tutti
gli sprechi che "noi civili" in Europa e negli USA e nei
paesi "economicamente sviluppati" facciamo.
La
povertà dei popoli sudanesi, centrafricani, subsahariani, è una
cosa nobile, piena di tradizione e di umanità: qui è la miseria
totale di gente che ha perso tutto, o meglio, a cui abbiamo tolto,
sottratto, rubato tutto, anche la dignità.